Taiwan, immobiliare, energia, demografia. Le 4 spine di Xi verso il 3° mandato

Clamoroso: "marines americani addestrano forze militari taiwanesi". La situazione sullo Stretto è una delle questioni aperte per la Cina, insieme ad altre 3

di Lorenzo Lamperti
Esteri
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Circa due dozzine di marines a Taiwan per addestrare le forze militari locali in vista di un'eventuale futura invasione cinese. L'ultima, clamorosa, novità appena svelata dal Wall Street Journal rischia di alzare ancora la tensione, già altissima, sullo Stretto di Taiwan. Anche perché quella presenza potrebbe rischiare di essere considerata, o quantomeno presentata, come una sorta di "dichiarazione di guerra" da parte di Pechino. Intanto, nel giro di quattro giorni 156 aerei militari cinesi sono entrati nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese (di cui la Cina non riconosce l'esistenza). Un numero da record. Azioni di tale tipo sono cominciate nel 2019, anno in cui nel discorso di capodanno Xi Jinping non aveva escluso l'utilizzo della forza per arrivare all'obiettivo della riunificazione dell'isola che Pechino considera una "provincia ribelle". Nel 2020 le incursioni sono state 380, nel 2021 sono già state oltre 600.

La forte concentrazione di pressione militare degli ultimi giorni è arrivata in concomitanza con la doppia festa nazionale, quella della Repubblica Popolare Cinese che si festeggia il 1° ottobre e quella della Repubblica di Cina (Taiwan) che si celebra invece il 10 ottobre. Non una primizia le manovre militari cinesi in questa prima decade del mese, basti pensare che lo scorso anno era stata simulata un'invasione terrestre di un'isola con un riferimento nemmeno troppo implicito a Taipei.  Sono decenni che la situazione intrastretto è tesa e irrisolta, ma negli ultimi anni la tensione è aumentata, in concomitanza con l'ascesa politica e militare di Pechino e la volontà di Xi Jinping di completare l'obiettivo del "ringiovanimento nazionale", sul quale ha fatto un passo avanti dopo la normalizzazione di Hong Kong.

Ma di pari passo con l'assertività cinese c'è anche il sempre meno ambiguo degli Stati Uniti nella difesa dell'isola, considerata strategica per gli equilibri dell'Indo-Pacifico e per la sua leadership nel settore dei semiconduttori. Tema particolarmente sensibile in un momento nel quale la carenza di chip affligge industrie di diversi settori in tutto il mondo, Italia compresa. La notizia della presenza di marines statunitensi su un territorio che la Cina considera suo potrebbe causare conseguenze potenzialmente molto rischiose. Altro che il fantomatico "accordo su Taiwan" di cui ha parlato Joe Biden in riferimento alla recente conversazione telefonica con Xi Jinping.

Ma non ci sono solo gli Stati Uniti. Anche i partner asiatici di Washington sono più espliciti che in passato rispetto all'argomento Taiwan, la cui importanza strategica è stata esplicitata per la prima volta nel libro bianco annuale della difesa giapponese. Si sono anche moltiplicati gli scambi politici, con un primo inedito forum sulla sicurezza partito tra Partito liberaldemocratico e Partito democratico progressista taiwanese, mentre il governo giapponese ha donato la maggior parte dei vaccini anti Covid arrivati finora sull'isola. Il tutto mentre si moltiplicano le esercitazioni congiunte con Stati Uniti, Australia, India e Regno Unito. 

Ma Taiwan non è l'unico argomento che tiene occupato Xi in vista del congresso del 2022, quello che dovrebbe consegnargli l'ufficialità del terzo mandato presidenziale. Ci sono altre tre spine. La prima è quella del settore immobiliare. Qualche giorno fa si era parlato dell'offerta da 5,1 miliardi di dollari di Hopson Development per rilevare il 51% dell'unità di property management di Evergrande, il colosso a rischio default. A quattro giorni di distanza, però, non è ancora arrivato nessun annuncio. Il titolo resta sospeso e il nervosismo dei creditori si accentua, soprattutto quelli offshore visto che appare ormai chiaro che verranno privilegiati gli interessi degli investitori locali a scapito di quelli stranieri. Il problema è che la situazione di Evergrande rischia di espandersi a tutto il settore. Anche Fantasia Group, un altro dei big del privato, ha mancato la scadenza per il pagamento di una cedola di bond e ora è a rischio default. Per non parlare di altre aziende come Soho China, penalizzata dal ritiro dell'offerta di acquisto di Blackstone. 

Un secondo elemento in grado di colpire la crescita cinese è quello della crisi energetica. L'impatto della crisi, in questo caso, rischia di essere duplice, coinvolgendo sia i dati economici sia il portafoglio dei consumatori. Partiamo dai dati economici. Nomura ha tagliato le stime per il 2021 dal +8,2% al +7,7%. Stime già corrette pochi giorni fa da Fitch, che era scesa dal +8,4% al +8,1% per il rallentamento del settore immobiliare. Un problema che dimostra anche la difficoltà di Pechino di diversificare le propri fonti energetiche e procedere verso l'implementazione di quelle rinnovabili e degli obiettivi green annunciati da Xi Jinping. Negli scorsi mesi, infatti, il presidente ha dichiarato che entro il 2060 la Cina raggiungerà la neutralità carbonica. Peccato che al momento la domanda e la produzione di carbone continuino ad aumentare. Anche a causa delle necessità post Covid, l'utilizzo delle fonti tradizionali di energia sono in crescita e questa tendenza non accennerà a cambiare nei prossimi anni. Le conseguenze della crisi energetica cinese possono però anche riflettersi su scala globale. La carenza di energia nella seconda economia più grande e il principale produttore al mondo causerà scossoni anche alla catena di approvvigionamento globale. Si prevedono possibili carenze di prodotti tessili, giocattoli, componenti di auto e non solo. Con i prezzi di una lunga serie di prodotti che potrebbero essere destinati a salire.

Infine, c'è un aspetto che preoccupa Pechino più sul lungo termine ed è quello legato alla demografia. Con dieci anni di anticipo rispetto ai pronostici più pessimistici, la  popolazione cinese infatti avrebbe già cominciato il suo lento declino. Lo sostiene il Financial Times, entrato in possesso dei risultati dell’ultimo censimento nazionale, il primo in dieci anni. Terminato a dicembre, il sondaggio doveva essere pubblicato a inizio aprile. Ma, secondo fonti del quotidiano finanziario, non è più così sicuro che venga divulgato. Prima occorrerà quantomeno valutare la possibile reazione dell’opinione pubblica. Il calo, che vede il numero degli abitanti scivolare sotto quota 1,4 miliardi, ci si attende avrà ripercussioni significative sull’economia nazionale, in particolare sul sistema pensionistico.