Taiwan, la vittoria di Lai alzerà le tensioni. Già in arrivo delegazione Usa

La presidenza al filo indipendentista DPP e le manovre di Washington indispettiscono Pechino, che prepara la reazione. Ma c'è un dato a favore di Xi

di Lorenzo Lamperti
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Elezioni Taiwan, la vittoria di Lai Ching-te è zoppa. Si attende la reazione della Cina

I taiwanesi non l'hanno percepita come una scelta tra guerra e pace, ma la vittoria di Lai Ching-te alle presidenziali di sabato 13 gennaio pare destinata ad aumentare le tensioni sullo Stretto di Taiwan. Non solo perché viene ritenuto dalla Cina come un "secessionista", caratteristica che peraltro lo accomuna alla presidente uscente Tsai Ing-wen, ma anche e forse soprattutto per la mancanza di fiducia di Pechino nelle manovre degli Stati Uniti.

Già oggi è infatti atteso l'arrivo a Taiwan di una delegazione non ufficiale messa in piedi dalla Casa Bianca. Lo ha confermato l'American Institute in Taiwan, l'ambasciata de-facto degli Usa a Taipei. E proprio all'indomani delle elezioni. Dopo l'arrivo previsto oggi, domani la delegazione inviata dall'amministrazione del presidente Joe Biden avrà colloqui con "una serie di figure politiche di spicco", si legge in una nota. Inevitabile che in questa lista di incontri ci sia proprio anche il presidente eletto Lai

Alla guida della delegazione ci sarebbero l'ex vice segretario di Stato democratico, James Steinberg, e l'ex consigliere repubblicano per la Sicurezza nazionale, Stephen Hadley. Una truppa bipartisan, dunque, volta a confermare il sostegno americano a Taipei anche all'alba della lunga campagna elettorale che porterà alle elezioni per la Casa Bianca del prossimo novembre.

Ma un messaggio chiaro anche a Xi Jinping, con tempistiche che potrebbero in realtà scatenare una reazione più assertiva di quanto non ci si sarebbe potuti aspettare. Incontrare il presidente eletto subito dopo il voto potrebbe infatti essere letto come un appoggio, o comunque un contatto "ufficiale" con l'autorità di Taipei, cosa che Pechino osteggia da sempre. Dipenderà anche molto dal profilo mantenuto dalla visita. In passato altre delegazioni di ex alti ufficiali erano state molto discrete e anzi in un caso erano anche servite a prendere le distanze dal più aggressivo Mike Pompeo (che ha viaggiato a Taiwan in due occasioni negli ultimi anni).

Ma alla Cina non è piaciuto nemmeno il post su X di Antony Blinken. Il segretario di Stato americano si è infatti congratulato si è congratulato esplicitamente con Lai e "con il popolo taiwanese per aver partecipato a elezioni libere ed eque, dimostrando la forza del suo sistema democratico". Nelle scorse ore la reazione di Pechino. "Il Dipartimento di Stato americano ha rilasciato una dichiarazione che viola gravemente il principio dell'unica Cina e i tre comunicati congiunti sino-americani, nonché l'impegno politico assunto dagli Stati Uniti di preservare solo le attività culturali, economiche e relazioni non ufficiali con la regione di Taiwan. Ha inoltre violato le forze separatiste dell'indipendenza di Taiwan".

E ancora: "La Cina è fortemente insoddisfatta e fermamente contraria e ha presentato severe rimostranze agli Stati Uniti. La questione di Taiwan è al centro degli interessi fondamentali della Cina e la prima linea rossa insormontabile nelle relazioni sino-americane". Toni ben più duri di quelli di sabato sera, dove insieme al solito avvertimento sulla "riunificazione inevitabile" si sottolineava il fatto che il Partito progressista democratico (DPP) di Lai "stavolta non rappresenta l'opinione pubblica maggioritaria dei taiwanesi".

Affermazione che sembrava lasciar presagire maggiore pazienza e che fotografa un risultato in effetti più sfaccettato e frammentato di quanto non si possa osservara a un primo sguardo rapido. Il DPP ha infatti perso il 17% delle preferenze rispetto alle presidenziali del 2020, vale a dire oltre due milioni e mezzo di voti in meno. Una tendenza ancora più netta alle legislative, dove per la prima volta dopo otto anni il partito perde la maggioranza.

Nella legislatura che prende il via il 1° febbraio, il primo partito sarà infatti il Kuomintang, su posizioni ben più dialoganti con Pechino tanto da essere il suo preferito. Un risvolto che potrebbe concedere a Xi qualche nuova freccia a livello politico.