Tajani in Cina per lanciare il commercio. Ma c'è l'ombra della Via della Seta
La complicata missione del ministro degli Esteri: negoziare l'addio al progetto di Xi senza compromettere i rapporti bilaterali. E anzi rilanciarli
Cina, arriva Tajani per rilanciare il commercio. Nonostante l'uscita probabile dalla Via della Seta
Gettare le basi per l'uscita dell'Italia dalla Via della Seta, evitando allo stesso tempo una rottura con la seconda economia mondiale. E, anzi, cercando di rilanciare le relazioni commerciali a livello bilaterale. Possibile riuscirci? La risposta arriverà dalla visita di Antonio Tajani, che si trova in Cina fino a martedì 5 settembre in una missione molto delicata. Il governo Meloni ha infatti ormai deciso di uscire dalla Belt and Road Initiative. Troppi i rischi legati alla percezione occidentale della postura italiana, non abbastanza i vantaggi racimolati dall'ingresso nel progetto di Xi Jinping operato dal governo Conte I.
Soprattutto, troppe volte il governo Meloni si è scoperto in tal senso. La stessa premier ha dichiarato più volte durante la campagna elettorale che una volta eletta avrebbe cancellato l'accordo. Una volta entrata a Palazzo Chigi, però, Meloni è stata molto più cauta del previsto. Dimenticate le strizzatine d'occhio a Taiwan e ai dissidenti tibetani, il governo ha assunto una linea ben più morbida sulla Cina, anche e soprattutto dopo il bilaterale di Bali, a margine del summit del G20 in Indonesia, tra Meloni e lo stesso Xi.
Alla vigilia della partenza, la Farnesina ha chiarito che il tema centrale della visita sarà "il rilancio del dialogo bilaterale nei settori di comune interesse, nel quadro del partenariato strategico globale istituito nel 2004". Il riferimento è tutt'altro che casuale. Dare maggiore risalto e importanza al ventennale meccanismo di collaborazione bilaterale è un modo per cercare di svuotare di portata politica il mancato rinnovo sulla Belt and Road.
Negli ultimi mesi, da Meloni in giù, vari membri del governo si sono detti convinti di mantenere buoni rapporti pur uscendo dal progetto. "Della Via della Seta dovremo discutere in parlamento e poi ne parleremo con serenità e amicizia con il governo cinese. Sono convinta che le relazioni con Pechino resteranno solide, non prevedo che si complicheranno", ha detto nei giorni scorsi la premier a Il Sole 24 Ore.
Da parte cinese si parla di "voci ostili che cercano di "interrompere la collaborazione" tra i due paesi. Implicito riferimento agli Stati Uniti, la cui contrarietà alla Via della Seta rappresenta secondo la Cina il vero motivo del probabile ritiro italiano dal progetto. Tajani sostiene che l'adesione non abbia portato i risultati attesi. "L'export dell'Italia in Cina 2022 è stato pari a 16,5 miliardi, rispetto ai 23 miliardi della Francia e ai 107 della Germania".
Come potrebbe reagire la Cina di fronte all'addio alla Via della Seta
Da Pechino si sottolinea però che l'interscambio è aumentato del 42% nel giro di 5 anni. E soprattutto viene chiesto tempo per esprimere il pieno potenziale dell'accordo, fin qui condizionato da eventi esterni come la pandemia di Covid-19 e dalla guerra in Ucraina. Ma anche politici, come la retromarcia sui rapporti bilaterali ingranata dal Conte bis prima e dal governo Draghi poi.
Per Xi Jinping era stata importante l'adesione di un paese G7, il malcontento per l'uscita sarebbe senz'altro espresso e messo sulla bilancia. Anche se Pechino ha apprezzato che Meloni ha preso tempo durante G7 e visita alla Casa Bianca. Annunci prematuri sarebbero stati vissuti come un affronto. Oggi persino il tabloid nazionalista Global Times sostiene che l'addio alla via della seta non deve essere per forza una battuta d'arresto fondamentale ai rapporti bilaterali. Il grado della risposta cinese dipende dunque dalle garanzie che il governo Meloni saprà dare sull'intenzione di proseguire il rapporto e anzi incrementare la cooperazione commerciale.
A inizio agosto era già stata a Pechino una delegazione tecnica della Farnesina in una missione tenuta sottotraccia e utilie per iniziare a negoziare i termini dei rapporti futuri. Proprio le future visite di Meloni, prima di Natale, e quella di Sergio Mattarella a gennaio per commemorare i 700 anni dalla morte di Marco Polo, sarebbero la maggiore garanzia del fatto che i rapporti tra Roma e Pechino potranno sì subire un parziale scossone, ma senza in realtà dover portare a una rottura o a turbolenze troppo dannose per le aziende italiane.