Trump minaccia sanzioni ai Brics: l'alternativa al dollaro potrebbe accelerare. Ma occhio al rischio boomerang

Trump prova a giocare d'anticipo minacciando sanzioni che vanno da tassi oltre il 100% alla chiusura del mercato statunitense

di Francesco Crippa

Donald Trump

Esteri

Trump minaccia sanzioni ai Brics: l'alternativa al dollaro potrebbe accelerare

Donald Trump prova a giocare d’anticipo. Davanti alla possibilità che i Brics adottino una propria moneta da usare nelle transazioni commerciali tra i paesi membri, il futuro presidente è già corso ai ripari minacciando sanzioni che vanno da tassi oltre il 100% alla chiusura del mercato statunitense. Una mossa dal sapore geopolitico oltre che economico, ma che per alcuni analisti rischia di essere un boomerang.

L’obiettivo di Trump è evitare che i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran) creino un polo finanziario alternativo tramite la creazione di una nuova moneta che permetta un processo di de-dollarizzazione, cioè di disaccoppiamento dalla valuta statunitense per essere più liberi e meno soggetti agli umori di chi siede nello Studio ovale.

“L’idea che i Brics si allontanino dal dollaro mentre noi stiamo a guardare è finita”, ha scritto Trump in un recente post sul suo social Truth. Per scongiurare uno scenario che indebolirebbe il potere degli Usa, The Donald ha minacciato sanzioni pesanti: tassi oltre il 100% e divieto di accesso al mercato americano per i paesi che adotteranno la nuova valuta. La creazione di una moneta dei Brics, chiacchierata da tempo, è invero lontana dal divenire realtà per motivi logistici, ma è comunque sintomo di un desiderio di costruire un sistema finanziario in grado, se non di sostituirsi, di affiancare quello a influenza statunitense in vigore dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una minaccia all’egemonia di Washington, che non a caso viene da un gruppo di paesi che riunisce i suoi tre principali nemici: Cina, Russia e Iran.

A provare a raffreddare i toni è stato il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar, intervenuto al Doha Forum tenutosi a New Delhi la scorsa settimana. Confermando che sono in corso discussioni per la semplificazione delle transazioni finanziarie tra i paesi membri del gruppo delle (ex) economie emergenti, Jaishankar ha chiarito che “Al momento, non c’è nessuna proposta di creare una moneta dei Brics. Per questo non capisco bene da dove venga [l’appunto di Trump]”. Di più: “Gli Usa sono il nostro più grande partner commerciale e quindi non abbiamo alcun interesse a indebolire il dollaro”, ha aggiunto. Messaggi analoghi sono arrivati dalla Banca centrale indiana, che tuttavia da tempo persegue una politica di diversificazione del proprio bacino di riserve di valuta estera del paese.

Al momento, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, il peso della moneta di Washington nelle riserve globali tocca quota 59% (a inizio secolo era il 70%). Metà delle riserve in dollaro sono in Asia, dove però è in corso un progetto di diversificazione che interessa non solo la Cina e l’India, ma anche paesi legati agli Usa come Taiwan, il Giappone e la Corea del Sud. Tuttavia, pensare una moneta alternativa al dollaro rimane complicato. La Cina, per esempio, ha la seconda economia del mondo e il settore finanziario più grande del globo, ma la sua moneta, lo yuan, il suo utilizzo per i pagamenti internazionali è pari solo al 2%, mentre quello come riserve di valore è pari al 3% (dati inizio 2024 di Banca centrale cinese e Fmi).

In ogni caso, la minaccia di Trump potrebbe ritorcersi contro di lui. Secondo alcuni analisti, infatti, i Brics potrebbero accelerare il processo di creazione di una nuova moneta proprio perché le parole del futuro presidente americano confermerebbero il timore che gli Usa esercitino il proprio potere economico con scarsa considerazione della stabilità del sistema sul lungo periodo o, peggio, che lo facciano per danneggiare le economie rivali. Per la Russia e, soprattutto, per la Cina, la questione è geopolitica: sottrarsi all’influenza statunitense vorrebbe dire rafforzare la propria posizione di attore globale.

Non a caso, sono proprio Mosca e Pechino a guidare il fronte di “rivolta” all’egemonia del dollaro, favorendo accordi per commerciare con valute locali e aumentare le transazioni interne all’area Brics. Inoltre, già da tempo Pechino sta de-dollarizzando le proprie riserve di valuta straniera, virando sull’oro e altre monete. In questo senso, le parole di Trump, lungi dal fermare questo percorso, fungerebbero da stimolo ulteriore.

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