Trump e il video fake su Gaza fatto con l'IA, un progetto folle che mina il futuro dei palestinesi

Ecco che cosa c'è dietro al video "Trump Gaza" fatto con l'intelligenza artificiale

di Fabrizio Fratus*
Esteri

Trump e il video fake su Gaza: quel diritto alla libera circolazione che ora è vietato ai palestinesi

Da ieri si è acceso un acceso dibattito intorno al video di Trump su “Gazanon”, una proposta che, oltre a risultare inopportuna, appare estremamente di malcostume in un contesto già segnato da tragedie e sofferenze umane. Mentre a Gaza, territorio da decenni afflitto dalla guerra e dalla crisi umanitaria, continuano a verificarsi numerosi episodi di violenza e perdita di vite innocenti, il presidente statunitense propone un’idea che pare distaccata dalla realtà: una riviera immaginata su una costa dove, in realtà, il diritto alla libera circolazione e ai diritti fondamentali è negato ai palestinesi. Gaza è da tempo teatro di conflitti che hanno lasciato profonde cicatrici sociali ed economiche.

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Secondo le stime delle Nazioni Unite, la Striscia di Gaza ospita circa 2 milioni di persone in uno degli spazi più densamente popolati al mondo, con una densità che supera i 5.000 abitanti per chilometro quadrato. La popolazione, in gran parte composta da rifugiati o discendenti di rifugiati, vive in condizioni di estrema precarietà: il tasso di disoccupazione supera il 40% e, secondo alcuni rapporti, la povertà colpisce fino al 70% degli abitanti. Le restrizioni imposte dal blocco, attivo dal 2007, limitano gravemente l’accesso ai beni essenziali, all’assistenza sanitaria e, soprattutto, alla libertà di movimento. In Gaza non esiste, infatti, la possibilità di una libera entrata e uscita, e i residenti non possiedono passaporti o diritti paragonabili a quelli di un cittadino italiano, situazione che aggrava ulteriormente il disagio e l’emarginazione.

Il video di Trump su Gazanon, diffuso in un contesto mediatico già carico di tensioni, propone un’idea apparentemente surreale: la creazione di una riviera, una sorta di sviluppo turistico e di lusso, in un’area dove la realtà quotidiana è fatta di crisi umanitarie e insicurezza. Tale proposta non solo appare distaccata dalla sofferenza di una popolazione privata dei suoi diritti fondamentali, ma rischia anche di alimentare false narrazioni. Come ha sottolineato Senaldi in una recente trasmissione televisiva, i fondi destinati a Gaza, sebbene abbiano l’obiettivo di favorire lo sviluppo, dovrebbero essere utilizzati per affrontare le reali esigenze della popolazione, e non per realizzare progetti fantasiosi e inadeguati. In effetti, Senaldi ha evidenziato che l’idea, presentata da Trump, ignora un aspetto cruciale: a Gaza la possibilità di libera circolazione è inesistente.

In assenza di passaporti e diritti civili riconosciuti, l’ipotetica riviera diventerebbe un luogo destinato non a migliorare la vita dei palestinesi, ma a servire interessi ben lontani dalle necessità umanitarie. La proposta, quindi, assume contorni ben più pericolosi se interpretata come uno strumento per deportare i palestinesi in altri Stati e appropriarsi della costa, in un’ottica di controllo e sfruttamento territoriale. Numerosi dati confermano la drammatica situazione di Gaza. Un rapporto del 2023 dell’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) ha evidenziato che oltre il 75% dei giovani gazaiani non ha prospettive occupazionali concrete, mentre la crisi dell’acqua potabile e dell’elettricità colpisce quotidianamente migliaia di famiglie.

Le infrastrutture, danneggiate dai ripetuti conflitti, non consentono né una crescita economica né un miglioramento delle condizioni di vita. Inoltre, in seguito alle recenti escalation di violenza tra Hamas e Israele, il bilancio delle vittime civili è aumentato drasticamente: dati raccolti da organizzazioni per i diritti umani indicano che, in pochi mesi, il numero di morti innocenti ha raggiunto cifre allarmanti, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. Questi dati contrastano fortemente con la retorica di progetti come quello proposto da Trump, che sembra ignorare le evidenze concrete di una realtà oppressa e segnata dalla violenza. La creazione di una “riviera” in un territorio dove l’occupazione e lo sviluppo sono ostacolati da blocchi internazionali appare non solo inappropriata, ma addirittura offensiva per una popolazione che non gode delle libertà fondamentali. Il concetto di una riviera, inteso come area di sviluppo turistico e di lusso, presuppone un ambiente stabile, dove l’accesso ai servizi e la libera circolazione siano garantiti.

A Gaza, tuttavia, la realtà è ben diversa: l’assenza di frontiere aperte e di diritti civili rende tale progetto non solo impraticabile, ma potenzialmente pericoloso. Se da una parte l’idea potrebbe apparire come un’opportunità di rilancio economico, dall’altra rischia di essere strumentalizzata per giustificare politiche di deportazione forzata dei palestinesi e l’appropriazione di territori che dovrebbero rimanere sotto il controllo della popolazione locale.

L’eventualità che una riviera venga realizzata in un contesto dove i diritti umani sono sistematicamente violati impone una riflessione profonda: cosa potrebbe significare per i palestinesi, già esclusi da molti diritti, il trasformarsi in soggetti di un progetto volto a garantire solo interessi economici e geopolitici? In un simile scenario, la riviera non rappresenterebbe una rinascita, ma un ulteriore strumento di segregazione e controllo, che alimenterebbe tensioni e disuguaglianze, anziché risolverle. Le affermazioni secondo cui Trump vorrebbe deportare i palestinesi in altri Stati e appropriarsi della costa sono gravi e, sebbene siano state ritenute dalle forze critiche come parte di una retorica provocatoria, vanno analizzate con attenzione. Una politica di questo genere non solo violerebbe il diritto internazionale, ma costituirebbe un atto di ingiustizia verso una popolazione già storicamente emarginata.

La storia insegna che il controllo dei territori e delle risorse, quando associato a pratiche deportatorie, genera conflitti e instabilità duratura. In un contesto come quello di Gaza, dove la popolazione è intrappolata da restrizioni imposte da potenze esterne, l’adozione di misure volte a “trasformare” il territorio in un’area di sviluppo esclusivo rischierebbe di aggravare ulteriormente le tensioni esistenti, creando una spaccatura ancora più profonda tra chi detiene il potere e chi è destinato a viverne le conseguenze. Il video di Trump su Gazanon rappresenta un esempio lampante di come le proposte politiche possano distaccarsi brutalmente dalla realtà dei fatti, generando idee pericolose e irrealistiche. In un territorio come Gaza, dove la sofferenza e la privazione sono all’ordine del giorno, l’idea di una riviera immaginata per scopi economici e geopolitici appare come un insulto alla dignità di milioni di persone.

Le cifre allarmanti sui livelli di povertà, la disoccupazione e il blocco dei diritti fondamentali rendono evidente che qualsiasi progetto di sviluppo deve partire da una valutazione onesta e realistica della situazione. I fondi destinati allo sviluppo di Gaza, sebbene abbiano il potenziale di migliorare le condizioni di vita, devono essere impiegati in progetti che garantiscano l’accesso universale ai servizi di base, il diritto alla mobilità e il rispetto dei diritti umani. Proposte come quella di Trump, che sembrano ignorare questi elementi fondamentali, rischiano di trasformarsi in strumenti di appropriazione e deportazione, anziché in leve per una vera rinascita.

È indispensabile, dunque, che la comunità internazionale, le organizzazioni per i diritti umani e le forze politiche responsabili si uniscano per respingere qualsiasi iniziativa che, sotto la parvenza di un’opportunità economica, possa compromettere ulteriormente la dignità e la libertà di un popolo già troppo a lungo oppresso. Solo attraverso un impegno concreto e rispettoso dei diritti fondamentali si potrà sperare in un futuro in cui Gaza non sia più sinonimo di conflitto e disperazione, ma di una rinascita basata su giustizia, equità e sviluppo sostenibile. Le soluzioni devono essere orientate a garantire la libertà di movimento, il rispetto dei diritti civili e lo sviluppo integrato del territorio, e non a creare nuovi strumenti di controllo e divisione. La storia e i dati non possono essere ignorati: ogni intervento deve partire dalla realtà concreta e dalle necessità di chi, quotidianamente, lotta per sopravvivere in uno dei contesti più difficili al mondo.

*Sociologo

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