Trump è pazzo (o finge di esserlo), ma a Pechino sanno aspettare in attesa del new world order
A Pechino, al contrario di Washington, lo sanno benissimo: il tempo è la vera arma letale
Donald Trump
Trump è pazzo (o finge di esserlo)
C’è un vecchio proverbio cinese che dice: “Siediti sulla riva del fiume e vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. A Mar-a-Lago probabilmente non lo conoscono. Oppure sì. Ma a Donald Trump non interessa. Perché il tycoon, è cosa nota, è fatto così: irruento, imprevedibile, allergico a qualsiasi forma di diplomazia. In questi giorni ha rispolverato il suo cavallo di battaglia preferito: la guerra dei dazi contro la Cina.
L’ha fatto come solo lui sa fare: alzando le tariffe sulle importazioni cinesi fino al 145%, e annunciando nuovi colpi a sorpresa se Pechino non si piegherà alle sue richieste. Il tutto mentre Wall Street tracolla di nuovo e lui si perde tra un alleggerimento dei dazi all'Europa e la richiesta di aumentare la pressione delle docce.
Il pretesto ufficiale per la sua nuova guerra a Pechino? La lotta al fentanyl, la difesa dei lavoratori americani, il riequilibrio di una bilancia commerciale storicamente pendente (troppo) a favore di Pechino. Ma chi conosce Trump sa che dietro c’è molto di più. C’è la sua campagna elettorale. C’è il bisogno spasmodico di creare nemici per compattare il proprio elettorato.
C’è, forse, quella strategia folle (o geniale) che nella storia americana porta un nome preciso: madman theory. La teoria dell’uomo pazzo. Quella che Richard Nixon rivendicava con orgoglio per spaventare i sovietici: “Lasciate che pensino che sono matto abbastanza da premere il bottone rosso”. E Trump questo gioco lo conosce benissimo. D'altronde, è andato a scuola da Roy Cohn, temibilissimo avvocato più reaganiano di Reagan, omosessuale non dichiarato (e guai a dirglielo), morto di Aids senza che lo si potesse ammettere. Uno abituato a non sedersi al tavolo delle trattative, ma a rovesciarlo sistematicamente.
Dall’altra parte del Pacifico però c’è qualcuno che ha studiato Sun Tzu e Confucio. Cultura millenaria contro filosofia fast. Xi Jinping non è tipo da reazioni isteriche. Ha risposto ai dazi con controdazi altrettanto pesanti (fino al 125% su alcuni prodotti americani).
Ma lo ha fatto con calma, freddezza, metodo. Come chi sa che il tempo, nella strategia asiatica, è un alleato formidabile. E tendendo la mano al mercato e all'Europa, ribaltando ancora una volta la prospettiva per cui ora il vero liberista è lui, e non The Donald. Perché in fondo la Cina non ha fretta. Ha visto passare imperi, guerre, presidenti americani di ogni tipo. E sa che Trump, come tutti gli uomini forti dell’Occidente, è destinato prima o poi a lasciare la scena. Forse nel 2028. Forse anche prima. Ma lasciare, comunque.
Intanto Pechino continua a stringere accordi in Asia, in Africa, in Sud America. Continua a tessere la sua tela. Continua a costruire, pezzo dopo pezzo, quel new world order che non passa più solo da Washington. E noi europei, come sempre, stiamo nel mezzo.
A guardare due giganti che si prendono a colpi di tariffe, sperando che le schegge non ci colpiscano troppo forte. Da un lato l’America che ci chiede fedeltà assoluta (ma non ci tutela più come una volta). Dall’altro la Cina che ci corteggia con investimenti, accordi e diplomazia commerciale. Ma che abbiamo mandato al diavolo non più tardi di due anni fa, cestinando definitivamente tutti gli accordi sulla Nuova via della seta.
La verità è che questa guerra dei dazi è molto più di una questione economica. È lo specchio di un mondo che sta cambiando pelle. È l’ennesima prova che il vecchio ordine globale scricchiola, che le regole scritte nel dopoguerra non bastano più. È la fotografia di un mondo multipolare, dove chi urla di più non sempre vince. Perché, alla fine, c’è sempre un momento in cui chi fa troppo rumore rischia di restare solo.
Trump lo sa? Forse sì, forse no. Forse gli basta restare al centro della scena, un giorno in più. A Pechino, invece, lo sanno benissimo: il tempo è la vera arma letale. E quando il fiume si sarà calmato, quando i dazi saranno stati alzati e abbassati mille volte, quando Trump sarà solo una voce nei libri di storia, Xi Jinping sarà ancora lì. Seduto sulla riva. Ad aspettare.