Twitter a Musk? Accelera la guerra tra governi e potenze digitali. E Trump...
L'acquisizione del social da parte del patron di Tesla avrà tra gli effetti collaterali quello di intensificare la battaglia tra potenze politiche e digitali
Elon Musk compra Twitter: le conseguenze dell'affare
"Amo Twitter". "Dovresti comprarlo, allora". "Quanto costa?". Nel 2017 Elon Musk aveva interagito così sul social che, cinque anni dopo, ha appena acquistato. Un'operazione destinata a far discutere a lungo e non solo dal punto di vista economico e aziendale. In questi cinque anni sono cambiate tante cose e si è capito definitivamente che i social network non sono solo social network. Sono anche uno strumento di potere economico e politico, oltre che ovviamente comunicativo. Tanto che sono diversi i governi in giro per il mondo che stanno cercando di ribilanciarne questo potere.
L'acquisizione di Twitter da parte di Musk dunque non è solo l'acquisizione di un colosso social da parte di uno degli uomini più ricchi del mondo. No, l'acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk acquista anche una rilevanza politica e geopolitica. Twitter, come Facebook, è ormai un vero e proprio impero che talvolta si arroga anche il diritto di concedere o non concedere la possibilità di parlare ai presunti uomini più potenti del pianeta, compreso il presidente degli Stati Uniti. Tanto che viene da chiedersi se davvero nel terzo millennio gli uomini più potenti del pianeta siano i leader delle grandi potenze oppure i proprietari di questi giganti digitali.
Il caso di Donald Trump, silenziato dopo la diffusione di fake news sul coronavirus, insegna. L'ex presidente aveva lanciato una sfida ai colossi tecnologici, che considerava suoi veri e propri rivali politici alla stregua dei Democratici. Non desta dunque stupore il fatto che la notizia dell'acquisizione di Musk stia avendo effetti anche sulle politiche di alcuni paesi, che osservano con attenzione alle mosse del patron di Tesla in sella al nuovo giocattolo.
Twitter, l'Europa avverte subito Elon Musk. E Trump sogna il ritorno sul social
A partire dall'Europa, che è subito intervenuta sulla vicenda lanciando un avvertimento: per stare in Europa Musk dovrà rispettare il Digital Services Act che dovrebbe entrare in vigore nel 2024. Un'azione normativa che prevede per esempio il divieto di inserzioni mirate ai minorenni o su "informazioni sensibili" degli utenti, ma che concederà anche ai governi dei 27 paesi membri la possibilità di intervenire e imporre la rimozione di "contenuti illegali" quali all’odio, le truffe o l’ abuso di minori.
Una visione che però si contrappone con la "libertà di parola" totale propugnata dallo stesso Musk, che secondo alcuni potrebbe essere intenzionato a riammettere su Twitter vari utenti bannati dalla precedente gestione. A partire, forse dallo stesso Trump. Il timore dell'Europa è che questa libertà totale di parola possa far accendere la luce verde anche a fake news, disinformazione o a messaggi violenti.
D'altronde, i sospetti sui giganti social sono in grande crescita negli ultimi anni. Come sempre, quando c'è un grande potere non ci sono solo grandi responsabilità ma anche grandi dubbi. Le aziende tecnologiche hanno voluto porsi in una posizione in cui hanno così tanta influenza. Volevano cambiare il mondo e l'hanno fatto. Ora è inevitabile che opinione pubblica e governi si chiedano se queste aziende stanno usando questo potere nell'interesse generale oppure no.
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Come i governi stanno cercando di arginare le potenze digitali
Da più parti i governi hanno lanciato una battaglia per provare a rimodulare il potere di questi colossi di trasformare la sfera pubblica attraverso la gesgtione algoritmica dei feed di informazioni, la capacità di concedere il diritto di parola o rimuoverlo, così come il potere di rendere effettivamente invisibili le persone cancellandole dalle ricerche di Google. Come se non esistessero.
Gli anni dal 2016 in avanti hanno visto una serie di attività imponenti con i social nel mirino: cause legali antitrust; la campagna presidenziale della senatrice Elizabeth Warren; audizioni del Congresso Usa; una grande indagine della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti; fughe di notizie dall'interno delle aziende; rivelazioni sensazionali dei media (lo scandalo Cambridge Analytica, il ruolo di Facebook nel facilitare il genocidio in Myanmar, il ruolo di YouTube nel radicalizzare i tiratori di massa ecc); indagini delle autorità della concorrenza nel Regno Unito, l'UE e altrove.
Secondo alcuni conteggi, ci sono almeno 70 azioni di questo tipo in corso in tutto il mondo al momento. Negli Stati Uniti, per esempio, quasi 40 stati hanno lanciato cause sulla concorrenza contro Google e il Dipartimento di Giustizia ne sta portando avanti una contro Facebook.
La guerra tra governi e social: l'esempio della Cina. Che ora spera di avere più influenza su Twitter...
La strada, come spesso accade, la sta indicando ora la Cina. La riorganizzazione autarchica cinese della rete e dello spazio digitale ha iniziato ad affascinare molti. Per esempio tutti coloro che hanno capito che persino internet può essere non solo regolato (seppur dialetticamente) ma anche sfruttato in modo funzionale ad alcuni obiettivi. A partire dai vicini asiatici ma per arrivare anche all'occidente.
Il concetto di "sovranità" è sempre più spesso accompagnato all'ambito tecnologico in tutto il mondo, anche con diverse accezioni rispetto alla dialettica tra regolatori e utenti. Ma c'è anche un'altra dimensione nel rapporto tra governi e social, ed è quella geopolitica. Nel 2020, in seguito agli scontri militari lungo il confine conteso, l'India ha iniziato a bannare decine e decine di app cinesi. Oltre a essere una rappresaglia, la mossa di Nuova Delhi è volta (come aveva fatto la Cina prima di tutti) a escludere competitor stranieri e favorire i propri attori nazionali. Ma gli stessi Stati Uniti hanno fatto passi concreti per bloccare le app cinesi sul territorio americano. Un po' ovunque, Europa compresa, ci si muove per evitare che i dati raccolti sui propri utenti vengano trasferiti all'estero.
Non è dunque un caso che sul caso Twitter si discuta anche dei molteplici interessi di Musk in Cina. L'accusa l'ha sganciata nientemeno che Jeff Bezos, sostenendo che con il patron di Tesla Twitter finirà per essere più filocinese. Finora il social bolla con un'etichetta i media cinesi, così come i suoi diplomatici. Che questa etichetta venga cancellata? Legittimo chiederselo, visto che Tesla produce larga parte del suo fatturato proprio in territorio cinese, dove ha ottenuto la possibilità di aprire uno stabilimento proprio senza le consuete lungaggini burocratiche che caratterizzano la vita delle grandi aziende internazionali a Pechino e dintorni.
Sia nel caso della limitazione delle libertà degli utenti, sia nel caso della restrizione del perimetro della globalizzazione tecnologica, l'Asia e il resto del mondo si ritrovano a dover agire in ritardo, spesso in maniera reattiva, in un modo non troppo dissimile alla Cina, che ha invece costruito negli anni un sistema già funzionante, seppur in continua evoluzione. Le varie leggi di Pechino su cybersecurity, algoritmi e privacy stanno incuriosendo molti governi occidentali che vorrebbero potersi muovere con lo stesso tipo di libertà e influenza su questi giganti digitali che invece hanno assunto un potere talvolta abnorme.
L'acquisto di Twitter da parte di Musk potrebbe accelerare il braccio di ferro con tra governi e potenze digitali. La sfida è appena cominciata.