Usa, il 20% dei Repubblicani Trump non lo voterà mai. Haley è ancora in corsa

Il tycoon resta il preferito dei Gop, ma moderati e indipendenti potrebbero farlo cadere. I sondaggi

di Redazione Esteri
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Primarie Repubblicani Usa, i numeri non sono così schiaccianti. Ora Trump teme la rimonta

Le primarie in New Hampshire hanno decretato la vittoria di Donald Trump, il tycoon ha battuto la rivale repubblicana Nikki Haley ma non ha stravinto come previsto. Per questo sul candidato dei Gop per le prossime presidenziali del 5 novembre la partita non è chiusa. Secondo un sondaggio della Fox - riporta Repubblica - quasi il 20 per cento degli elettori Repubblicani "non lo voterà mai" Trump. Se un paio di mesi fa avessero detto a Nikki Haley che le primarie del New Hampshire sarebbero finite così, sconfitta di 11 punti in una sfida a due contro Donald Trump, probabilmente ci avrebbe messo la firma. Dopo le attese suscitate dal suo balzo nei sondaggi, però, il risultato non ha soddisfatto le aspettative. Lei ha giurato che andrà comunque avanti, almeno fino al voto nella sua South Carolina del 24 febbraio, e Trump si è infuriato, attaccandola ferocemente perché vorrebbe che si ritirasse.

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Questo nervosismo di Trump - prosegue Repubblica - nasconde la preoccupazione per una difficile ma non impossibile rimonta. Guardando gli exit poll, si capiscono anche i possibili motivi del nervosismo di Trump. È vero infatti che ha vinto bene, ma secondo la Fox il 35% degli elettori repubblicani del New Hampshire ha detto che non lo voterà mai. La percentuale scende al 19% a livello nazionale, ma comunque è troppo alta per stare tranquilli. Inoltre Haley ha ottenuto il voto del 74% dei moderati, il 58% dei laureati e il 66% degli elettori non registrati come repubblicani, ossia indipendenti. Solo il 32% dei votanti ha detto di considerarsi membro del movimento Maga e circa un quarto non è certo di votare Donald se fosse condannato penalmente. Biden intanto quasi celebra il risultato di martedì, perché a torto o a ragione considera Donald il miglior avversario possibile, mentre i manager della sua campagna già puntano il dito sui segni di debolezza del rivale emersi dalle primarie.