Usa-Israele, "Biden molla (in parte) Netanyahu in chiave elettorale"
"Ora Israele rischia solo se il conflitto si allarga anche all'Iran". L'analisi
Intervista a Elia Morelli, ricercatore di Storia all'Università di Pisa e analista geopolitico di Domino
Il presidente americano Joe Biden ha affermato che interromperà le forniture di alcuni armamenti a Israele se il premier Netanyahu ordinerà un’invasione a Rafah. Che cosa cambia nei rapporti Usa-Israele? Quali conseguenze geopolitiche ci saranno a livello internazionale? Affaritaliani.it lo ha chiesto a Elia Morelli, ricercatore di Storia all'Università di Pisa e analista geopolitico della rivista Domino.
Biden ha affermato che interromperà le forniture di alcuni armamenti a Israele se il premier Netanyahu ordinerà un’invasione a Rafah. Si tratta di una svolta storica nei rapporti tra Usa e Israele?
"Washington avrebbe deciso di non inviare armi offensive, ma solo difensive. Una differenza lessicale che nei fatti non modificherà di molto il supporto materiale americano. Pertanto, non la considererei una svolta storica, ma solo un cambio di approccio tattico. Con questa mossa gli Stati Uniti cercano di aumentare la pressione sull’alleato israeliano, comunicandogli di smorzare i toni dello scontro e di ridurre la martellante campagna bellica nella Striscia di Gaza, onde evitare l’aggravarsi della crisi umanitaria, il deflagrare dell’escalation, l’interruzione dei negoziati".
Biden ha preso questa decisione per non perdere i voti della sinistra democratica?
"La decisione del presidente americano è in primis dettata dalla necessità di favorire i colloqui finalizzati al cessate il fuoco, imprescindibile per gettare le basi di una tregua e iniziare a discutere di un nuovo assetto securitario regionale. In secondo luogo, i massacri compiuti dall’esercito israeliano a Gaza, con migliaia di vittime tra i civili, hanno suscitato l’opposizione di una componente appartenente al centro-sinistra del Partito Democratico e scatenato la rabbia dei giovani studenti americani. Rivelando come la guerra rappresenti anche un problema domestico, scavando nelle profonde contraddizioni nazionali, alimentando il malessere intestino. Quindi, l’intervento della Casa Bianca ha anche come scopo quello di diminuire le tensioni sociali. Un obiettivo prioritario in vista delle elezioni".
Israele senza le armi Usa è in grado di proseguire nella guerra o può essere in difficoltà?
"Tel Aviv è in grado di proseguire l’attuale conflitto asimmetrico contro Hamas, soprattutto perché Washington ha intenzione di ridurre l’invio di armi, non di tagliare completamente le forniture belliche allo Stato ebraico, avanguardia dello schieramento statunitense nella regione. Le difficoltà potrebbero subentrare in caso di inasprimento delle belligeranze con altri attori locali e l’apertura di più fronti. Finora Israele ha mostrato la sua capacità di colpire in profondità le milizie sciite filoiraniane in Libano, Siria, Iraq e Yemen, così come di compiere attacchi diretti in territorio iraniano. Tuttavia, le problematiche si avrebbero in caso di uno scontro frontale con Teheran, al momento improbabile, ma soprattutto nell’evenienza di una pericolosa ebollizione del fronte interno: gli arabi di dentro con cittadinanza israeliana e i palestinesi della West Bank, sempre più riluttanti all’espansione degli insediamenti sionisti in Cisgiordania".
Che cosa cambierebbe se Trump vincesse le Presidenziali Usa?
"L’esito delle elezioni americane non cambierebbe la postura statunitense in Medio Oriente, dove lo schema di Washington è chiaro: stabilizzare la regione tramite la normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Israele e gli attori locali (in particolare l’Arabia Saudita), così da disegnare una nuova architettura securitaria che permetta di appaltare ai soci regionali il contenimento dell’Iran, consentendo agli Stati Uniti di disimpegnarsi parzialmente per concentrarsi in altri quadranti strategici".
Israele rischia l’isolamento nel mondo?
"I massacri compiuti nella Striscia di Gaza hanno eroso il consenso e la legittimità internazionale di Israele dinnanzi alla maggior parte del mondo. Soprattutto verso i paesi del cosiddetto Sud Globale, ovvero quasi tutto il pianeta ad eccezione dell’Occidente allargato. Come manifestato plasticamente dall’istanza legale presentata dal Sudafrica alla Corte penale internazionale, agli occhi dei popoli che sognano l’avvento del multipolarismo lo Stato ebraico, tacciato di colonialismo etnocratico, si è definitivamente trasformato in un carnefice".