Cosa sono i santuari, le "fattorie vegane" che salvano gli animali

In Italia c'è una rete di rifugi per polli, vitelli, etc. che sono sopravvissuti a macelli e allevamenti intensivi

di Redazione Food
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Le "fattorie vegane" possono essere una soluzione per ridurre l'impatto dell'industria della carne e renderla più "umana"

Non sono molti gli animali che sopravvivono al macello ma quelli che ci riescono finiscono nei santuari, ovvero rifugi per animali senza scopo di lucro in cui i volontari si prendono cura di loro. Il tema ha ottenuto una certa popolarità in questi giorni ed è stato trattato da L'Internazionale con una copertina dedicata, Gambero Rosso e da Sabrina Giannini nella trasmissione Indovina chi viene a cena.

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In Italia esiste una rete di santurari che ha una propria carta dei valori. La prima regola è quella di non sfruttare gli animali per nessuna prestazione, che sia per il cibo, la lana, latte, etc. L'obiettivo è quello di promuovere un approccio gentile agli animali anche dando accesso libero al santuario. 

Nell'articolo de L'Internazionale si racconta la storia di Tobias Burren di Liebwil, nel cantone svizzero di Berna. L'uomo insieme alla moglie ha trasformato la sua fattoria di famiglia in versione "vegana" dopo aver macellato tutto il bestiame "in eccesso". La scelta ha prodotto un allevamento meno costoso che si sostiene anche attraverso le donazioni di chi adotta un animale a distanza.

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In Italia, invece, chi lavora nei santuari nella maggior parte dei casi si tratta di ex allevatori pentiti, come il caso di Massimo Manni a Nerola (Roma), o che "fanno quello che possono".

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