Cop26: un fallimento annunciato. Tra assenze e lacune, è il solito bla bla bla

La conferenza di Glasgow, ancora prima di cominciare, non suscita alcun entusiasmo. Quali sono le ragioni profonde della freddezza verso i temi ambientali?

di Lorenzo Goj
Green
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Cop26: un fallimento annunciato. Tra assenze e lacune, è il solito bla bla bla

A poche ore dall’inizio della Cop26 di Glasgow, domenica 31 ottobre, i segnali non sono per niente buoni. E non certo da oggi. Quel velo di speranza in una risposta collettiva per salvare il mondo dal climate change, che per un certo periodo aveva iniettato enormi dosi di speranza, sta pian piano andando a perdersi. Quando si era iniziato a parlare di transizione ecologica, si pensava che tutti i Paesi, ma proprio tutti, si sarebbero alleati e avrebbero lavorato insieme contro il “mostro del riscaldamento climatico”. Ma le parole sono state nettamente più grandi dei fatti, come hanno avuto modo di rilevare sia Greta Thunberg che la Regina Elisabetta.

Già a luglio, il ministro per la transizione ecologica Cingolani, in un’intervista a La Stampa, aveva pronunciato la celebre frase: “(La transizione ecologica) potrebbe essere un bagno di sangue”. Ma cosa intendeva esattamente? Come spiegato abbondantemente, per attuare una “transizione ecologica” bisogna effettuare cambiamenti radicali. Tutti insieme. E questi cambiamenti non hanno, e avranno, costi colossali solo in termini di soldi, ma soprattutto di fatica. Perché sono le radicate abitudini della gente e delle imprese che devono cambiare. 

Ma perché la situazione è questa, dunque? Perché tutti, nel senso più generale del termine, non si sono messi a lavoro per supportare questo cambiamento radicale? Anche questo è piuttosto semplice. Il successo della transizione ecologica passa infatti per il dispiacere, rilevante, di categorie dedite alle attività che, appunto, ci hanno messo nei guai di cui stiamo parlando: energie fossili, automobili, agricoltura intensiva, allevamenti industriali. Si tratta di lobby forti e ben rappresentate, che non mancheranno di farsi valere. E questi sono solo gli esempi più comuni.

Ma non è solo questo: manca l’aspetto “reale”, quello che fa capire quanto sia realmente difficile questa transizione “green”. Bisogna considerare, nel nostro caso, il ruolo che il nostro Paese interpreta in questo piano che coinvolge il mondo intero. Anche se ogni singolo cittadino italiano si comportasse solo ed esclusivamente in maniera virtuosa verso l’ambiente, questo non comporterebbe neanche lontanamente la realizzazione degli obiettivi imposti per il 2050. Perché? Semplice. L’Unione Europea compone “solo” il 9% del totale delle emissioni di CO2 prodotte nel globo. Quindi, l’Italia, che cosa può fare da sola? (Quasi) niente. Per arrivare a un vero cambiamento, bisogna che tutti facciano la propria parte. Ogni Paese e ogni Continente deve essere protagonista di questa necessaria Transizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma torniamo alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di domenica. Intervistato da “Bloomberg”, il primo ministro britannico Boris Johnson, che ospiterà il convegno, prevede colloqui “estremamente difficili”. Infatti, il governo britannico si aspetta di accogliere a Glasgow circa 120 capi di Stato e di governo. Ma la situazione non è delle migliori. Considerando quanto detto prima, peseranno alcune assenze illustri: prima tra tutte quella della Regina Elisabetta, che per problemi di salute non potrà aprire l’evento come “padrona di casa”. 

Enormemente significative anche le assenze dei presidenti di Cina e Brasile, Xi Jinping e Jair Bolsonaro, e del primo ministro del Giappone, Fumio Kishida. Incerta anche la partecipazione di Narendra Modi, primo ministro dell’India, terzo Paese al mondo per emissioni di gas serra e, dunque, tra i maggiori imputati all’insorgere del climate change. Da parte sua, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden prenderà parte alla Cop26, ma l’inviato Usa per il Clima, John Kerry, ha moderato le aspettative in vista dell’evento in occasione di una intervista la scorsa settimana. 

I fondati timori, dunque, sono quelli di trovare una Cop26 senza il minimo entusiasmo, e senza quella voglia collettiva di combattere il problema che noi stessi abbiamo creato.

Perché se la prima e la terza nazione più inquinante non saranno presenti, sarà la prova del fatto che non c’è un interesse profondo in questo piano globale verso la sostenibilità e che, dunque, le possibilità di vedere gli obiettivi realizzati entro il 2050 sono sicuramente sconfortanti.