Giornata mondiale degli oceani tra inquinamento, pesca intensiva, estinzioni

Pesca intensiva, plastica e acquacoltura sono i maggiori nemici degli oceani e di pesci e animali che ci vivono: una giornata per riflettere sui rischi connessi

Di Monica Camozzi
Green
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Oceani vuoti. Una massa di acqua senza pesci. Oggi, la campagna affissa alla metropolitana milanese, riempie gli occhi di sgomento e la mente di domande.

Pesca intensiva, plastiche, ma non solo, l’acquacoltura, ovvero l’allevamento di pesci per miliardi di persone, rischiano di ridurre popolose acque a una vasca da bagno.

L’allarme viene lanciato da Essere Animali nella Giornata Mondiale degli Oceani, 8 giugno, anniversario della Conferenza per l’Ambiente di Rio del 1992.

90% dei pesci predatori estinto

Il fim Lo Squalo rischia di diventare letteratura nostalgica? Secondo uno studio pubblicato da Nature (Rapid Worldwide Depletion of predatory fish communities), la pesca intensiva avrebbe causato l’estinzione del 90% dei pesci predatori.

E la stima diffusa da uno studio pubblicato da Marine Policy parla di 30.000 squali uccisi ogni ora insieme  alle specie a rischio: tonno, pesce spada, razza, palombo, tonno rosso e decine di altre specie. Sotto accusa, le reti e le lenze abbandonate nei mari che, secondo  Greenpeace costutuiscono il 70% delle macro plastiche presenti nelle acque. 640mila tonnellate di reti che ogni anno uccidono circa 300.000 delfini, baleen, focene.

+527% degli allevamenti intensivi in 18 anni: antibiotici in mare

Secondo il rapporto FAO del 2020 (Lo stato della pesca e dell’acquacoltura), dal 1990 al 2018 gli allevamenti intensivi, definiti acquacoltura, sono aumentati del 527% nel mondo. Cosa significa acquacoltura? Allevamenti di pesci vicini alle coste, che rappresentano il 52% del prodotto destinato a consumo umano Ebbene, una porzione pari a un terzo dell’attuale pesca serve per nutrire questi pesci, alcuni studi dicono addirittura la metà dei 96, 4 milioni di tonnellate di animali acquatici pescati ogni anno (dato 2018).

Un grosso problema è la dispersione in mare degli antibiotici contenuti nei mangimi: un altro studio di Nature (Aquaculture at the crossroads of global warming and antimicrobial resistance) stima che fino all’80% degli antibiotici contenuti nel cibo dato ai pesci finisca in acqua, favorendo il fenomeno dell’antibiotico-resistenza.

Italiani, consumo  del 50% più alto della media europea

Eumofa 2018: ecco il rapport che stima il consumo di pesce in Italia pari a 31,02 kg l’anno, del 50% più alto rispetto alla media europea. Ma è il consumo di pesce globale a essere raddoppiato negli ultimi 60 anni: dai 9 kg del 1961 ai 20,5 del 2018.

Mari e oceani non sono riserve infinite, gli attuali consumi a lungo termine porteranno a una desertificazione degli oceani”, dice Claudio Pomo di Essere Animali, i cui attivisti hanno distribuito a Milano il Corriere dal Futuro, datato 2051, con la notizia dell’ultimo pesce pescato. L’organizzazione lancia altre iniziative in merito: sul sito www.salviamoglioceani.it è possibile compilare un test per avere informazioni sulle conseguenze della pesca intensiva e degli allevamenti, nonché leggere consigli preziosi su come salvaguardare la vita marina attraverso le scelte quotidiane.

Possiamo evitare questo scenario tragico anche attraverso un consumo responsabile, drasticamente ridotto rispetto a quello attuale” chiosa Pomo.