Human Presence: a Londra una grande mostra dedicata a Francis Bacon

Il Maestro inglese continua a dividere e turbare. I suoi ritratti sono una formidabile e potente indagine dell'animo umano, priva di illusioni ed infingimenti

di Gian Piero Rabuffi

Francis Bacon: la mostra a Londra

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Human Presence: a Londra una grande mostra dedicata a Francis Bacon

Difficile pensare ad un pittore più inattuale di Francis Bacon. E per questo più sfidante. I suoi scandalosi ritratti, ed ancora più i suoi disturbanti autoritratti perseguono un'estetica ed un'etica agli antipodi rispetto allo spirito dei nostri tempi, contrassegnati dal dominio del selfie come mezzo per costruire e condividere una immagine social irrealmente benevola ed auto-indulgente di noi stessi. Il Maestro inglese al contrario, come ben noto, scava la figura umana fino a squarciarla, stravolgendone i tratti in una amorfa e dolente poltiglia di carne. Quale delle due rappresentazioni è più accurata e coglie con maggiore precisione i tratti dell'animo umano? Sospendiamo il giudizio, anche perchè forse una risposta univoca non c'è. Ma abbiamo testimonianze dello sconcerto con cui chi aveva il coraggio di farsi ritrarre da Bacon si trovava posto di fronte ad una versione orrorifica e tumefatta di sé.

Molti di questi dipinti sono stati protagonisti della mostra "Human presence", che chiude in questi giorni i battenti alla National Portrait Gallery di Londra. Una esibizione e tante prime volte: sorprendentemente, la prima monografica di Bacon alla galleria londinese. Ed il primo evento di grande rilievo per Victoria Siddall, nuova direttrice della galleria, che ha assunto il prestigioso incarico quest'autunno dopo il suo ruolo di direttrice globale di Frieze. Attraverso le cinque sezioni (Portraits Emerge, Beyond Appearance, Painting from the Masters, Self Portraits e Friends and Lovers) si è accolti subito da alcune versioni dei suoi celeberrimi papi, per poi incontrare le reinterpretazioni di Van Gogh, Velázquez, William Blake e Rembrandt, i numerosi autoritratti. Quindi diverse delle fotografie che Bacon si faceva fare, illuminanti anche per comprendere il suo processo creativo, i ritratti di mecenati come  Robert Sainsbury (trasfigurato dall'artista nientemeno che in uno scimpanzè). E poi soprattutto gli amici come Lucien Freud ed Henrietta Moraes e gli amanti, Peter Lacy e George Dyer.

Francis Bacon continua a dividere e turbare

Qualche critico ha ritenuto l'esposizione ricca sino all'eccesso e poco equilibrata. L'autorevole giudizio di Jonathan Jones per il Guardian è che si tratti invece della migliore mostra dedicata a Francis Bacon da molto tempo a questa parte. Una esibizione che anzi addirittura "risponde anche a tutte le domande sulla sua grandezza". Bacon è stato infatti divisivo ai propri tempi anche più di oggi. Per taluni un genio ed un visionario, per altri un manipolatore ed un sensazionalista. L'orrore che rappresentava, e di cui sembrava - questa l'accusa - rendersi complice si traduceva in biasimo e stigmatizzazione. "Melodrammatico e superficiale", si diceva.

Ma la crudeltà, si capì alfine, non era da attribuire a Bacon. La seconda guerra mondiale rese una volta di più chiari gli orrori di cui l'uomo era capace. Ed il termine del conflitto non portò ad una pacificazione nè del mondo nè degli spiriti. Ogni contestazione cade se si considera che l'artista fece uso del medesimo crudo ed intransigente sguardo soprattutto nei confronti di se stesso e dei propri affetti più cari. Si prenda ad esempio il trittico "Maggio-Giugno", del 1973: Bacon vi rappresenta l'amante George Dyer, da poco suicidatosi. Nel primo pannello, George crolla sul water del bagno di un hotel. Nell'immagine centrale vomita nel lavandino. Nel terzo pannello egli è già presenza incerta e fantasmatica, inghiottita dal nulla.

Uno sguardo privo di illusioni sull'animo umano

Un uomo ed un artista privo di illusioni, e che pure, ispirandosi ai maestri del Barocco, infonde grandiosità alle sue tragiche figure umane. Il dialogo con la storia dell'arte è profondo ed erudito. La stessa ossessione per il ritratto nasce dalla sfida di rivoluzionare il più convenzionale dei generi, sfidando le "aspettative tradizionali su cosa questo dovesse rappresentare", come osservato da Rosie Broadley, Senior Curator delle collezioni dedicate al Novecento alla National Portrait Gallery. Il ritratto era al contempo per Bacon il genere pittorico per eccellenza, "capace di esprimere cosa significasse essere umani". Un significato che tuttavia era per l'artista ben lontano da quello del sentire comune, ieri come oggi.

Alla sua pittura Bacon si dedicò con la dedizione di uno scienziato, un esploratore. Uno sperimentatore. E' per questo che quando gli capitava di descrivere la propria visione creativa usava immagini spiazzanti quanto i suoi dipinti: "Il compito dell'artista è sempre quello di approfondire il mistero. Vorrei che i miei quadri sembrassero come se una testa umana fosse passata attraverso di essi, come una lumaca, lasciando una traccia di presenza umana e memoria, così come la lumaca lascia il suo muco.”

Un approccio, scavando la superficie, che si rivela suggestivamente analitico. E che induce a poter accostare le opere dell'inglese al Picasso cubista. Entrambi hanno infatti operato un titanico superamento della somiglianza, alla ricerca di un'impossibile visione panottica. Per Picasso, un problema essenzialmente estetico e formale. Bacon vi aggiunse l'ambizione esistenzialista di cercare di rappresentare anche l'animo umano. Con un procedimento tanto intimo quanto violento. E senza dubbio fortemente traumatico da un punto di vista emotivo. Ancor più, ce lo ha ricordato l'esposizione londinese, poiché condotto spesso su se stesso e sulle persone a lui vicine. Con poche cautele. Come la decisione dagli anni Cinquanta di lavorare gradualmente sempre più spesso a partire da fotografie, per aggiungere un grado di distanza dai propri soggetti. Un allontanamento profondamente connesso alle premesse stesse insite nella visione artistica di Bacon: "Noi siamo carne. Siamo potenziali carcasse", disse una volta. Una verità che resta ineludibile, più forte di ogni tentazione di volgere il nostro sguardo altrove.

 

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