Abbiamo bisogno degli intellettuali? Etica e responsabilità ancore di salvezza

Franco Brevini racconta un mondo a una dimensione dove si abbatte analfabetismo funzionale, anoressia culturale, bulimia bufalesca e disgregazione democratica

di Alessandra Peluso
Libri & Editori
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Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale, di Franco Brevini per Raffaello Cortina Editore: recensione

“Gli intellettuali servono alla società: informano, alimentano il dibattito pubblico, forniscono le coordinate concettuali, aiutano il pubblico a entrare nei meandri del pensiero, a ragionare con la propria testa” scrive Sabino Cassese nel suo pamphlet Intellettuali (il Mulino), concludendo le pagine  con un interrogativo che non cede ad ambiguità sulla funzione e il ruolo degli intellettuali nella democrazia attuale dove tutte le voci possono esprimere le loro opinioni finanche quelle cacofoniche attraverso i social networks, ma che l’intellettuale può parimenti guadagnare il proprio spazio per chi ha bisogno di cultura oppure può essere “reclutato” dalla politica.

Cassese ha una visione garantista, nessun timore né tremore. Si sofferma su questa figura, in parte - diremmo - vincolata a un presentismo apparentemente senza controllo e a una società in preda alla con-fusione dove ogni aspetto si fonde insieme nell’indistinto, in tutt’uno caotico. Di ben altre vedute è il saggio di Franco Brevini dove è chiara nell’immediato l’atmosfera che si andrà a respirare: la crisi dell’autorità culturale.

L’esigenza di un’auctoritas della cultura che vacilla: Simmel parlerebbe di “tragedia”, Nietzsche che nel tragico ha sviluppato il suo pensiero direbbe che viviamo in una “barbarie culturale”, la cultura di massa, “comune a tutti è per l’appunto barbarie”. 

Brevini fornisce nel volume Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale per i tipi di Raffaello Cortina uno sguardo complessivo e particolareggiato sulla “cultura”, sulla sua strumentalizzazione e sulla necessità weberiana di “etica e responsabilità” per far sì che la navigazione riprenda la giusta rotta.

Dal bisogno degli intellettuali, quale fenomeno attrattivo, all’urgenza di un nuovo assetto culturale per una società depauperata dai suoi punti di riferimento, dall’autorità dei ruoli genitoriali all’asimmetrica relazione maestro-allievo. Tutto è discusso in modo approfondito. In altre parole, dall’effetto alle cause.

Brevini bandisce la tavola in modo ordinato invitando a partecipare al suo simposio con pensiero critico. Invita già nell’introduzione a porre attenzione alla cosiddetta “infodemia”, ovvero alla “crescita patologica delle informazioni scarsamente vagliate o basate su false voci che inevitabilmente disorientano l’opinione pubblica” e all’“illusione della conoscenza” che costituisce il contrario del “so di non sapere” di Socrate.

Il fisico Stephen Hawking ha scritto: “Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza”. Muove da una diagnosi attuale Brevini e tratteggia riga dopo riga, pagina dopo pagina, svelando una cornice alquanto chiara: la cultura non esiste se non come “mercificio”. Parafrasando Marcuse, l’Autore parla di “un mondo a una dimensione” dove si abbatte l’analfabetismo funzionale, “un’anoressia culturale” e una “bulimia bufalesca” più diffusa di quanto si possa pensare oltre a una “disgregazione democratica”.

La lente d’ingrandimento è indirizzata attraverso voci autorevoli di filosofi, scienziati, letterati su un mondo che andrebbe rivisto e ri-pensato. In definitiva, è come se la Contemporaneità si trovasse in un turbinio di una giostra che gira veloce e quando d’improvviso si fermerà, si cadrà incapaci di reggersi privi di fondamenta solide.

Proseguendo nel volume Brevini si sofferma sulle competenze, sulla mancanza di conflitto perché non è più riconosciuto il ruolo della paternità e l’autorità è indubbia, sulla sola presenza dei doveri, sull’assuefazione del sentito e di un parlare per eco. Ecco la necessità di insegnare a parlare, ad appalesarsi come pensiero critico nell’incontro, col dialogo.

Le parole di Nietzsche durante le conferenze tenute a Basilea nel 1872: “siete avvezzati a tentare la critica estetica in modo autonomo, mentre vi si dovrebbe guidare a un rispetto devoto per l’opera d’arte; siete abituati a filosofare in modo autonomo, mentre bisognerebbe costringervi ad ascoltare i grandi pensatori. Il risultato di tutto questo è che voi rimarrete per sempre lontani dall’antichità, e diventerete i servitori della moda”.

Leggendo il testo di Franco Brevini si ha la netta consapevolezza, senza illusioni né delusioni, che attualmente non sussiste nemmeno tale abitudine: non si pensa e non si critica, si conosce per via di un “click”. L’incontro è sui social. Non si avverte però un tono tragico, appesantirebbe la situazione che già di per sé è drammatica. Pertanto, Brevini si limita – si fa per dire – a illustrare lo scenario e a proporre una possibile via di fuga. Vedremo. 

Si appalesano le teorie politiche dei classici: Platone, Machiavelli, Guicciardini, Rousseau, Kant. L’Autore dialoga anche con Ortega y Gasset, Le Bon, Arendt con la quale accenna alla “desocializzazione”, ovvero “fuga dal mondo all’io”. Uguaglianza: massificazione, individualismo e consumificio: “Il consumo mi rifonda come persona, io sono ciò che consumo, io sono protagonista dei miei consumi, in essi mi rispecchio e mi riconosco, e i templi del consumo sono i luoghi in cui officiare questa nuova laica religione dell’io”.

Inoltre, Brevini indugia sul tema degli intellettuali in crisi, dei complottisti e delle post-verità fino a compiere una disamina sulla scuola e la sua “disfatta”. In tanti hanno affrontato il declino degli insegnanti, la crisi della scuola, e anche il letterato Franco Brevini ha opportunamente riservato un capitolo alla figura del magister che oggi non è più magis, “non costituisce più un riferimento fondamentale e fiduciario nel mondo della formazione. Anche l’antica alleanza educativa tra insegnanti e genitori è saltata, sostituita dal rapporto familisticamente protettivo dei genitori con la prole”.

E tale esperienza è un fatto di una gravità sconcertante per i bambini, i ragazzi che crescono secondo un rapporto fiduciario errato privi di libertà e responsabilità. Generazioni future “acefale”. A ciò si aggiunge la “rivoluzione digitale”, analizzata dai grandi pensatori quali ad esempio Bodei e sugli effetti di intelligenza artificiale, macchine, computer, smartphone si dovrebbe non solo discutere ma avere la prontezza di educare nel modo appropriato i nativi digitali nell’utilizzo: il solo modo è quello di educare al pensiero critico e all’azione responsabile.

Per tali ragioni, dopo aver attrezzato il lettore di un quadro complessivo della realtà odierna, con un rapido planare e con l’aiuto di classici e studiosi contemporanei a confronto, l’Autore del volume Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? prima che la società termini il suo ossigeno invita alla riflessione e guida allo studio di Weber, Jonas, Arendt, affinché gli educatori, i maestri, gli intellettuali, le istituzioni, invero tutti gli organi competenti si muovano, agiscano in modo responsabile permettendo all’etica tanto bistrattata dai più di rinsavire. 

“Responsabilità e giudizio” (Arendt). La politica e l’educazione possono cambiare il mondo. “Educare è un atto politico”, ma farlo in modo responsabile è un dovere: è un imperativo morale. Inoppugnabile e improrogabile. “Responsabilità significa essenzialmente sapere che creiamo un esempio che gli altri seguiranno; è così che si cambia il mondo”, se i modelli da seguire sono di converso effimeri, oggettivati, che cavalcano l’onda del guadagno, di sicuro il mondo del quale si farà parte sarà uno spazio caotico, anomalo e anemico.

L’esortazione - riprendendo Ricœur, come anche Simmel, o Buber, - è quella innanzitutto di “evitare la deperibilità del vivere sociale” facendosi carico delle relazioni, dell’io e del noi, nella “pluralità” puntando sull’etica e dunque, sulla responsabilità. Già.

Franco Brevini nella conclusione del saggio in questione recuperando un rapporto libero non dubita né permette che a qualcuno affiori un dubbio sull’urgenza di insegnare ed educare a tali princìpi ancora troppo incerti: libertà e responsabilità, nascosti sotto le coltri fitte della superficialità dell’ignoranza, dell’arroganza, della fama; perciò, da buon maestro sembrerebbe pronunciare le stesse parole di Virgilio con Dante: alzati! “ché, seggendo in piuma, / in fama non si vien, né sotto coltre; / sanza la qual chi sua vita consuma, / cotal vestigio in terra di sé lascia / qual fummo in aere e in acqua la schiuma. /…/. Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia” (Dante).