Alice Bignardi, la buona educazione e l'amore doloroso tra madre e figlia

“L’insegnamento numero uno di un milione, più importante di tutti, è che le emozioni, quelle che provi nel profondo del cuore, non vanno mai mostrate a nessuno”

di Sara Perinetto
Libri & Editori
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La buona educazione, l’esordio letterario di Alice Bignardi con Edizioni E/O

Non è facile spiegare un libro tanto complesso nella sua semplicità, come non è facile raccontare il rapporto tra Antonella e Lisa, madre e figlia. La buona educazione, esordio narrativo di Alice Bignardi per Edizioni E/O, è un condensato leggero di incomprensione, rabbia, ironia, amore nascosto, dolore non espresso e assurda pazzia. 128 pagine che scorrono veloci, in una prosa piana ma non piatta, diretta a volte anche in modo brutale.

A dieci anni dalla morte della madre, Lisa ripercorre la storia della malattia che l’ha portata a diventare orfana, “non com’è accaduta realmente, ma come la ricorda sua figlia. Sono due cose completamente diverse”. Un racconto fatto di rimorsi e flashback, lampi di consapevolezza in mezzo a tanta confusione. “Di lei e sua madre insieme ricorda vividamente soltanto il ricordo più triste della sua vita. Ricorda vagamente tutto il resto. Un garbuglio di ciò che è accaduto e avrebbe voluto accadesse. Ormai non distingue più le due cose.”

Un rapporto difficile, da vivere, da raccontare e da capire, con una madre che ha detto alla figlia “di dimagrire più delle volte in cui le ha detto che le voleva bene”. Una madre che obbliga la figlia a costanti, estenuanti, sedute di apprendimento su come stare al mondo, sul modo migliore per stare al mondo, con insegnamenti che vanno dal saper sbucciare una pesca con coltello e forchetta a saper fingersi più alte e grandi per poter salire sulle montagne russe. Un’educazione talmente serrata e assurda che Lisa arriva a sentirsi “soltanto un povero orso ammaestrato con indosso un gonnellino rosa e in mano un ombrello visibilmente troppo piccolo per riparare un orso dalla pioggia”.

Eppure il rapporto con la madre continua a essere simbiotico, Lisa scappa più volte dalla casa di famiglia per poi rendersi conto di continuare a mettere in pratica quegli inutili insegnamenti anche in assenza di Antonella, soprattutto uno, il più importante di tutti, “la base senza la quale è impossibile applicare tutti gli altri, e cioè che le emozioni, quelle che stai veramente provando nel profondo del cuore, non vanno mai e poi mai mostrate a nessuno, neanche agli amici più cari. Perché quello che stai provando nel più profondo del cuore ti impedisce di mettere in pratica tutte le altre regole con la grazia e l’eleganza necessarie, perché fa di norma schifo, fa senso, è una cosa sporca”.

Ecco perché Lisa e Antonella, in realtà, non parlano mai davvero, pur passando la maggior parte del tempo insieme. Ecco perché le parole che si dicono sono di rabbia e disprezzo: “Assassina, tirchia, obesa, bulimica”. Ecco perché le due donne sanno benissimo come “far sentire gli altri sempre e comunque a proprio agio” in loro presenza senza riuscire a riflettere davvero su ciò che pensano o provano nel profondo del cuore.

Pagina dopo pagina, iniziamo a capire che, forse, quella di Antonella non è cattiveria fine a sé stessa ma la stessa mancanza di strumenti di comunicazione ed espressione che attanaglia Lisa: ed è stata proprio lei stessa a tramandare di madre in figlia questa incapacità. Tra tutti gli insegnamenti, forse, manca l’unico davvero necessario: imparare ad amare e comunicarlo.

In un’escalation di assurdità, non detti e violenza, madre e figlia trovano a un passo dalla morte un modo per volersi bene senza ferirsi. Dopo anni di rabbia, Lisa imparerà spontaneamente come prendersi cura di sé stessa prendendosi cura di sua madre e, forse a perdonare e perdonarsi.