Cinzia Giorgio, Cinque sorelle: la saga della famiglia Fendi. Recensione

"Cinque sorelle, la saga della famiglia Fendi" Roma, Newton Compton editori 2021: Chiesa e Fascismo, Fascismo e Monarchia

di Gaetano di Thiéne Scatigna Minghetti
Libri & Editori
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Cinzia Giorgio, Cinque sorelle. La saga della famiglia Fendi, Roma, Newton Compton editori, 2021: Chiesa e Fascismo. Fascismo e Monarchia. In una sintesi  molto stringata, tutto quello che raggrumava in sé, in un complice connubio, l’espressione, a lungo demonizzata nei diversi manuali di storia del Risorgimento, che caratterizzava, come all’epoca si affermava, l’alleanza fra il trono e l’altare allorché si discuteva dell’esistenza degli Stati Unitari che “infettavano”, politicamente parlando, è ovvio, tutto l’intero Stivale italiano e il dibattito, vivace, che ne scaturiva intorno ad essi da parte dei patrioti e dei cospiratori liberali.

E’, questo, il messaggio subliminale che viene veicolato dalla spassionata lettura del romanzo che, pur presentandosi al pubblico, sin dalla sovraccoperta, ripetuta sulla prima di copertina, con l’immagine di una splendida donna – languidamente adagiata su di una calda, intima pelliccia -, la cui fluente chioma ondulata, dal colore castano scuro, balza, quasi invasiva, nello stile dannunziano eternato ne “ Il Piacere” (1889) dello scrittore abruzzese. L’autore del dipinto, John William Godward ( 1861-1922), è uno dei principali protagonisti delle vicende narrate nel romanzo. Con, sullo sfondo, i profili di Luigi Pirandello (1867-1936) e del gesuita Giulio Romei; una sciccheria, questa, che fa del lavoro letterario di Cinzia Giorgio un prezioso, insostituibile cammeo nella sequenza delle pubblicazioni che vengono proposte, in questi felici momenti editoriali italiani. Ma, tutto il bello del romanzo, tutto l’interessante della narrazione finisce qui? Certamente, no! Perché tutto ciò che è sottinteso nei capoversi, nelle sue pagine, che, in verità scivolano tra le mani come morbida seta, sintatticamente parlando, ha tutta un’altra filosofia; tutta un’altra ragion d’essere, una dimensione diversa e più pregnante.

<< Le si avvicinò, la fece piegare sulla spalliera del divano, mettendosi alle sue spalle. Le alzò la gonna, le aprì le gambe con il ginocchio e si fece strada per entrare a forza dentro di lei, trattando il suo corpo come se fosse di sua proprietà >> ( p. 160). La cruda descrizione - in realtà, l’unica del romanzo, che non indugia, non indulge in tutte le pagine a tali artifici, in realtà, è una denigrazione, una diffamazione sottesa, continua, imperterrita, senza intermissione alcuna, di una società, di un modo di vivere, di pensare, di rapportarsi; di una qualità di vita e di pensiero il cui supporto rappresenta il solido pilastro sul quale si sostiene la costruzione a cui non si può non fare appello.

Costituisce la bordatura fotografica, nitida, di una mentalità – quella occidentale, latino-cristiana, prevaricante, anche nelle più piccole sue manifestazioni – da condannare, da cancellare, perché così come essa si propone, ha prodotto solamente danni, vessazioni, oppressioni. Tutto, dunque, si deve riequilibrare, specie il gioco dei sessi che, finora, ha privilegiato il maschio virile, seduttivo, ovviamente eterosessuale.

La riflessione alla quale induce la lettura di questi passi del romanzo, a questo punto, sembra chiara e viene ampiamente confermata nell’incalzante prosieguo della descrizione che ne fa l’autrice: “ I suoi gemiti sembravano i rantoli di un moribondo – chi è che muore, l’Occidente e la sua storia, la sua civiltà? – alle orecchie di Clelia… Umberto accelerò i movimenti e urlò di piacere. Clelia…chiuse gli occhi… Una lacrima calda le scivolò lungo la gota. L’odio feroce verso l’uomo che aveva sposato era ormai incontenibile” (p.160). L’odio di Clelia è però rivolto unicamente contro il marito? Oppure, più latamente, contro il maschio europeo, bianco, oppressore, colonizzatore, che dilacera la personalità, che strazia l’anima annientando il carattere e l’essenza stessa della donna: sempre sola, turbata, vittima-oggetto, anche di se stessa?

    E le sorelle Fendi, Le cinque sorelle del titolo – qualcuno, maliziosamente potrebbe accostare, certamente sbagliando per eccesso di zelo, il titolo del romanzo all’appellativo che individuava nella prima età del XX secolo, le sette maggiori società petrolifere del mondo, ovvero, le cosiddette sette sorelle – si sono smarrite per via? Ovviamente, no! Nel prosieguo della narrazione, la Giorgio ne parla. Ne parla ampiamente come l’emblema incontrovertibile del successo. Come il symbolon, aristotelicamente declinato, della raggiunta indipendenza; della conseguita, vittoriosa autonomia della donna. Senza l’aiuto di un uomo, senza il supporto della sua atavica, ancestrale, esperienza di vita e di pensiero ma, a ben vedere, è proprio così? Tutto congiura a far propendere per una risposta assertiva. Ovviamente, non è proprio che le cose stiano in tal modo. La realtà, al contrario, si prospetta alquanto diversa, le affermazioni, nell’esistenza, sono il frutto, chiaramente, della collaborazione tra l’uomo e la donna; tra il maschio e la femmina, non di un anacronistico titanismo maschile. E, a riflettere bene, non può essere che così! Anche perché il nome di un uomo geniale, di un creativo di molto successo sta lì, a smentire e, al tempo stesso, a confermare, la tesi del costruttivo confronto; della sana collaborazione tra i sessi. Quello di un tizio, un protagonista dalla assoluta caratura, la cui presenza aleggia nelle pagine del romanzo, come il nume tutelare della Maison, come l’indefettibile testimone, ormai fattosi italiano in toto, della storia iconica della genialità culturale della Penisola nel mondo.  Karl Lagerfeld.