“Emigrazioni oniriche”: saggi sull’arte a cura di Giorgio Manganelli
Continua l’opera di pubblicazione degli scritti di Giorgio Manganelli da parte di Adelphi
È uscito in libreria edito da Adelphi a cura di Andrea Cortellessa Emigrazioni oniriche, la splendida raccolta degli scritti sulle arti che Giorgio Manganelli ha prodotto nell’arco di un’intera vita
“Manganelli è il più italiano degli scrittori e nello stesso tempo il più isolato nella letteratura italiana. Il più italiano perché nasce direttamente dalla prosa del nostro secolo diciassettesimo, col suo sontuoso spettacolo fatto di sintassi elaborata, di nomi, verbi e soprattutto aggettivi inaspettati, l’arte di far sorgere dal pretesto più insignificante una fontana di zampilli verbali, un vortice di analogie, una cascata d’invenzioni esilaranti. Manganelli si richiama dunque a un’idea di letteratura italiana tra Rinascimento e Barocco che ha avuto per l’Europa una funzione insostituibile di serbatoio di meraviglie, nelle elucubrazioni di cosmologi e teorici della magia così come nelle metafore dei poeti e nelle loro fantasticherie visionarie. Nello stesso tempo è il più isolato perché demolisce senza pietà tutte le invenzioni virtuose e didascaliche o anche soltanto illustrative che hanno dominato le nostre lettere nei secoli diciannovesimo e ventesimo, così come ogni pretesa di contare in qualche modo nella storia della società.”
Così Italo Calvino parla di Giorgio Manganelli – tra i due c’è sempre stata grande stima e ammirazione reciproca – in occasione dell’uscita in Francia di Centuria nel 1985, scrivendone un’introduzione per presentare l’autore al pubblico straniero. Calvino coglie perfettamente la peculiarità e centralità di Manganelli nel panorama culturale italiano, dove questi ha ecletticamente saggiato ogni campo: è considerato un innovativo critico letterario; ha collaborato per molti anni con la RAI, insieme a personaggi del calibro di Eco e Calvino; è stato “commentatore paradossale di fatti del giorno” per quotidiani e riviste, da Il Corriere della Sera a L’Espresso, da FMR a Epoca; ha partecipato attivamente al Gruppo 63, il movimento letterario della neoavanguardia; è stato ispirato traduttore e consulente editoriale per Mondadori, Einaudi, Adelphi.
A ciò va aggiunta una prolifica produzione di opere letterarie vere e proprie, che vanno dai saggi critici ai racconti fantastici, dai reportage di viaggio agli scritti di costume. Sono tutte opere che è possibile trovare in libreria pubblicate da Adelphi: la casa editrice porta infatti avanti da anni il duplice progetto di ristampa dei suoi lavori e al contempo ordinamento tematico degli scritti comparsi su quotidiani, riviste, cataloghi o altre pubblicazioni estemporanee.
Calvino ha ragione: Manganelli è davvero unico, nessuno scrive come lui; il suo stile è immediatamente riconoscibile, la sua prosa densa e ricca è sempre sorprendente, il ritmo del testo è inimitabile, come solo i grandi giocolieri del linguaggio sanno fare. Nella sua scrittura confluisce anche il carattere dell’autore, dinamico e insofferente ai luoghi comuni, così ogni testo acquista una carica quasi eversiva, un’imprevedibilità che sorprende e diverte il lettore. Giorgio Manganelli non smette di stupire: porta avanti il suo “programma antivirtuistico e antivitalistico” delineato in La letteratura come menzogna scardinando luoghi comuni e offrendo punti di vista impensabili, spesso con la leggerezza di chi sa quello che dice, a volte con l’irresponsabilità dichiarata di chi proclama di non voler essere preso sul serio.
Citando nuovamente Calvino: “Nessuno rappresenta più di lui nello stesso tempo la tradizione e l’avanguardia. La tradizione perché parte sempre da un ideale di forma molto strutturato e colto, nella sintassi della frase e nella logica dell’invenzione e dell’argomentazione. (Potremmo dire che il suo modello di partenza è Swift, uno Swift che lascia scatenarsi fino alle estreme conseguenze il proprio umore saturnino e le proprie ossessioni). L’avanguardia perché non c’è sfida dell’uso del pensiero e delle forme d’espressione che faccia indietreggiare Manganelli”.
Emigrazioni oniriche, da poco nelle librerie pubblicato da Adelphi, è una raccolta di saggi e articoli scritti nell’arco di una vita, nei quali Manganelli si occupa di arti visive. Come dice Andrea Cortellessa, curatore del volume, la pubblicazione di Emigrazioni oniriche è più che mai importante e necessaria, perché la passione per le arti visive, in particolare la pittura, accompagna Manganelli fin dall’inizio della sua carriera. Attraverso questi scritti è così possibile seguire il percorso e la maturazione del pensiero di Manganelli, una sorta di viaggio parallelo rispetto a quello che lo scrittore compie nel campo della letteratura. Si tratta per la maggior parte di testi brevi – di “improvvisi” – nei quali l’autore scatena il proprio virtuosismo stilistico ed estro creativo.
Il rapporto con le immagini non è quasi mai giocoso; è anzi spesso angosciante o persecutorio, perché Manganelli riconosce il potere intrinseco delle immagini stesse, i sortilegi di cui sono custodi, la violenza sull’osservatore di cui sono capaci. I pittori non sono più i testimoni della realtà, come vuole la storia dell’arte, ma diventano dei mistificatori, dei creatori di figure apparenti, illusorietà in cui albergano fantasmi e apparizioni. Poco importa che molti di questi spettri siano proiezioni dello stesso Manganelli, il quale spesso usa le opere come schermi magici sui quali trasferire le proprie idee e ossessioni.
Più che al rapporto tra parola e opera d’arte – quindi all’aspetto prettamente descrittivo – lo scrittore è interessato al potere dei segni e delle immagini, una forza quasi coercitiva in grado di avvincerci nella propria logica interna. In alcuni casi sono i paradossi a cogliere l’attenzione di Manganelli, come nello scritto sul gruppo statuario del Bernini, L’Estasi di Santa Teresa d’Avila: il parallelismo tra l’estasi mistica e quella sessuale è assolutamente scontato, neppure degno di commento. Lo scrittore si concentra invece sul paradosso spazio-temporale dato dalla santa, già trafitta dal dardo dell’angelo (quest’ultimo con la freccia ancora in mano).
In altri casi Manganelli mette invece in discussione il ruolo stesso dei musei: “l’opera chiusa nella teca del museo è catturata in un lager di squisitezze, viene dichiarata eterna purché rinunci alla propria qualità magica, alla intrinseca violenza, perché accetti di essere bella”. Fino a prendere in esame l’idea stessa del restauro, persino quello della Cappella Sistina: esso sancirebbe infatti la nascita di un nuovo Michelangelo, ancora tutto da scoprire, e la contemporanea scomparsa di quello conosciuto fino ad allora, fatto di tenebre, ombre, polvere depositata nel corso dei secoli.
Potremmo continuare a lungo con altri spassosi esempi di grande originalità, ma ci fermiamo qui per ovvie ragioni di spazio e lasciamo al lettore la gioia di scoprire un’opera letteraria senza eguali in questo campo.