Franco Faggiani, nuovo libro: "Teniamo accesi i riflettori su Amatrice"

Fazi Editore pubblica il nuovo romanzo di Franco Faggiani, Tutto il cielo che serve, in cui racconta il terremoto di Amatrice: Affaritaliani l'ha intervistato

di Chiara Giacobelli
Libri & Editori
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Tutto il cielo che serve, il nuovo libro di Franco Faggiani per Fazi Editore: "Molti residenti se ne sono andati, altri si sono rassegnati, perdendo la speranza, ma non dobbiamo dimenticare"

Lo scrittore della natura. È così che potremmo definire Franco Faggiani, giornalista, autore di libri ma soprattutto grande camminatore e appassionato di montagna; se non fosse per il fatto che la definizione è decisamente troppo semplicistica, poiché è vero che la natura è presente in maniera viva e palpabile in ogni suo romanzo, ma oltre ad essa c’è molto altro. 

Nel suo libro d’esordio La manutenzione dei sensi Faggiani indagava il delicato rapporto tra un padre e un figlio affetto dalla sindrome di Asperger; nel successivo Il guardiano della collina dei ciliegi ripercorreva la vita di Shizo Kanakuri, maratoneta alla ricerca di sé stesso e di un’espiazione dal proprio senso di colpa; nel terzo lavoro Non esistono posti lontani è invece il valore dell’arte nel contesto storico della seconda guerra mondiale a costituire il fulcro delle vicende.

Arriviamo così, dopo decine di migliaia di copie vendute (tutte pubblicate da Fazi Editore), traduzioni all’estero e molti premi, alla sua ultima fatica: Tutto il cielo che serve. Qui Franco affida la narrazione a una protagonista donna, Francesca Capodiferro, un vigile del fuoco fuori dalle righe che ha fatto della solitudine il suo scudo protettivo contro le avversità della vita. Eppure in lei l’aiuto nei confronti del prossimo e la temerarietà sono tratti distintivi, gli stessi che caratterizzano anche i colleghi della sua squadra romana, specie quando sono chiamati ad affrontare la prova più difficile: portare soccorso all’indomani del terribile terremoto che colpì Amatrice e l’Appennino nel 2016. 

Affaritaliani.it ha intervistato Franco Faggiani per saperne di più a proposito di storie vere, inventate, passeggiate nel silenzio e il grande potere della natura. 

Nei ringraziamenti finali del libro spieghi come è nata la tua curiosità e al contempo attrazione nei confronti del mestiere del vigile del fuoco. Come mai, tra i molti episodi avventurosi e pieni di coraggio che avresti potuto trattare, la tua scelta è ricaduta proprio sul terremoto del 2016?

Conosco Amatrice e il territorio circostante da molti anni e ci sono stato più volte anche dopo il terremoto del 2016. Nonostante siano passati cinque anni, la ricostruzione è iniziata con un buon passo solo da pochi mesi, grazie anche – va riconosciuto – al lavoro di Giovanni Legnini, commissario straordinario del Governo. Nel frattempo molti residenti se ne sono andati, altri si sono rassegnati e la rassegnazione fa perdere la speranza. Anche altrove ci si sta dimenticando di cosa successe e dove. Il libro vorrebbe quindi tenere ancora i riflettori accesi su quei momenti e su quei luoghi. Per non dimenticarli.

Come si è svolta la fase di ricerca e documentazione relativa ai fatti del sisma? È stato difficile avere a che fare con un tema tanto intenso dal punto di vista emotivo?

Le fasi del terremoto mi sono state raccontate da persone che ho incontrato nei paesi e nelle frazioni; mi ha sorpreso il fatto che hanno avuto voglia di raccontarle, non ho dovuto minimamente sollecitarle. Ad alcune loro vicende personali ho comunque dato una forma diversa dalla realtà, per evitare che poi, leggendo il libro, si riconoscessero totalmente, provando per questo nuove sofferenze. Di pari passo è stato determinante il racconto dei vigili del fuoco intervenuti in quel periodo: devo ringraziare un mio parente, che è appunto vigile del fuoco, e mi ha messo in contatto con alcuni suoi colleghi operanti ad Amatrice e dintorni in quelle settimane. Anche i loro racconti sono stati molto emozionanti. 

La tua protagonista è una donna, scelta audace e anche in linea con questo periodo storico. È risultato complicato calarsi nei panni femminili?

Non è stato complicato. Riusciamo a calarci nei panni di un’altra persona, donna o uomo non fa proprio differenza, solo se disponiamo di una buona dose di sensibilità priva di ogni pregiudizio. Io ce l’ho, dentro di me; per educazione familiare, per esperienza, per incontri con donne speciali e per vicende vissute. Magari la mia sensibilità è un po’ arruffata, ma poi con la forma, le parole, lo stile narrativo, riesco a metterla in ordine. 

Ancora una volta la natura non è soltanto cornice delle tue storie, ma svolge un ruolo attivo e quasi salvifico. Da dove proviene questo tuo stretto rapporto con l’ambiente e, in particolare, con la montagna?

Proviene, immagino, da una lunga e soprattutto rispettosa frequentazione. Dal considerare la natura come un ambiente magico da conoscere, da osservare, da attraversare senza lasciare traccia; con la consapevolezza che siamo solo una minuscola parte di un complesso ingranaggio e non certo i suoi padroni, gestori o sfruttatori. E anche con l’essere coscienti che la natura non è mai solo madre, ma alcune volte anche matrigna, come diceva Giacomo Leopardi. Quindi meglio conservarne sempre un sano timore.   

Nei tuoi libri non hai mai avuto paura di affrontare aspetti spinosi, delicati, importanti da raccontare ma anche complicati. Come si fa a non cadere mai nella banalità o nell’eccessiva semplificazione di tematiche tanto sfaccettate e individuali?

Cinquant’anni e oltre di attività giornalistica, quando ci si poteva documentare andando a fare domande ai diretti interessati e non aprendo un sito internet, mi hanno insegnato ad andare all’essenziale, a capire quello che può essere raccontato e quello che va tenuto da parte, o che comunque non suscita emozioni. In fondo scrivere un libro è raccontare la verità, le cose che sono successe, anche se con il condimento della creatività. 

Hai già un’idea per il prossimo romanzo?

Giro, cammino, esploro di continuo; più un posto è defilato, poco noto, più mi attira. In tal modo incontro molte persone fuori dall’ordinario e ognuna di queste persone ha una storia da raccontare: si tratta solo di saperla individuare nel mucchio delle parole dette, ma le esperienze professionali passate mi hanno allenato a farlo. Grazie a questo, in un mio cassetto mentale inserisco di continuo idee, trame, progetti; la storia che più delle altre continua a veleggiare avanti e indietro nella mente, quella che non se ne va fin quasi a mettere radici, è quella che vale la pena di raccontare. Si sceglie da sola. 
Quindi l’idea per un prossimo romanzo ce l’ho ben chiara, ho già cominciato a darle una prima forma, anche se devo incastrare tutto con altre attività editoriali che ho in ballo, ma che niente hanno a che fare con la narrativa. 

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