“I figli che non voglio”: dal dibattito al libro

Esce il libro di Simonetta Sciandivasci, la giornalista che ha fatto discutere l’Italia intera attorno al tema della (non) maternità

di Chiara Giacobelli
Libri & Editori

I figli che non voglio: una raccolta di testimonianze incentrate sulla grande questione del diventare o meno genitori, in una società dove si parla ogni giorno di inverno demografico. In libreria per Mondadori.  

Tutto ebbe inizio quando Simonetta Sciandivasci, giornalista de La Stampa addetta alla pagina culturale, se ne uscì durante una riunione di redazione con la scottante frase: “Io non voglio figli. Li posso avere. Ho trentasei anni e abbastanza soldi per mantenerli. Ma non mi interessa, tutto qui”. Sebbene si trattasse di un’asserzione – oltre che di una proposta per un possibile articolo – senza alcuna domanda sottintesa, si sollevò all’istante un dibattito ricco di contributi personali e non pochi pareri contrari. Dopo qualche giorno, Simonetta firmò il suo pezzo dal titolo I figli che non voglio, indirizzato all’Istat, pungente, sarcastico, sufficientemente provocatorio da far diventare in breve tempo il dibattito nazionale e scatenando gli interventi più disparati pro o contro la maternità. Scrissero dapprima soprattutto mamme convinte del loro fondamentale ruolo per la società, poi si aggiunsero madri aperte ad accettare visioni diverse dalla propria e in seguito si fecero avanti anche i padri, le donne childfree – nonostante sembra che questa espressione non piaccia a nessuno – e quelle senza figli ma non per scelta; infine, la discussione arrivò a toccare i temi dell’adozione, dell’aborto, della procreazione assistita, della bigenitorialità.

È da questo fenomeno giornalistico che è nato I figli che non voglio, il libro recentemente pubblicato da Mondadori a cura della stessa Simonetta Sciandivasci, in cui sono racchiusi i contributi editi e inediti di scrittrici, giornaliste, influencer, attrici, insegnanti ecc, maschi e femmine. Ognuno racconta la propria esperienza, esprime liberamente il suo pensiero, ed è per questo che non si tratta di un testo incentrato solo sulla non-maternità scelta e voluta: in linea di massima, infatti, a parlare sono per lo più i genitori o coloro che non lo sono diventati per diversi motivi, ma in fondo avrebbero voluto esserlo. Solo poche voci fuori dal coro rappresentano quel 5% di donne che secondo l’Istat non fa figli per scelta e una di queste è, ovviamente, quella della Sciandivasci, colei che ha dato avvio al dibattito. Sebbene, dunque, tutti i contributi siano a loro modo interessanti e meritevoli di essere letti, la protagonista indiscussa che tiene il filo dei vari interventi e apporta sempre qualche elemento di novità è proprio l’autrice del libro: sono sue le parole più originali, controcorrente, davvero utili a un possibile cambiamento di visione, tanto che viene da sperare in un prossimo progetto editoriale interamente incentrato sulla sua esperienza, o sul suo pensiero a proposito dell’argomento specifico.

Intanto in questo Simonetta veste alla perfezione i panni della giornalista e raccoglie con costanza, attenzione e cura le testimonianze più disparate: scrivono, tra gli altri, Viola Ardone, Daniele Mencarelli, Nadia Terranova, Veronica Pivetti, Maria Sole Tognazzi, Giorgia Soleri; quest’ultima firma, a mio parere, uno degli scritti più interessanti se si considera per l’appunto il tema in questione, in quanto donna childfree con un aborto voluto alle spalle. Inizia così il suo pezzo dal titolo No significa no: “Io non voglio diventare madre. È una dichiarazione d’intenti, forse inutile, probabilmente prevedibile, sicuramente sovversiva. E lo scrivo così, nero su bianco, per dare spazio di autodeterminazione a questo mio non-desiderio”.

La Soleri solleva un punto cruciale di tutto il dibattito, lo stesso che qualcuno ha fatto notare nei molti commenti pervenuti a seguito dell’articolo pubblicato dalla Sciandivasci: ma davvero c’è ancora bisogno, alle soglie del 2023, di parlare di questo? Non viviamo ormai in una società libera, che non definisce più la donna in base al fatto di essere o meno una madre? Ebbene, le risposte a queste domande sono sì, ce n’è ancora bisogno e no, non viviamo affatto in quel tipo di società. Avere un utero e decidere di non utilizzarlo per la sua funzione biologica è una scelta che ancora oggi implica discriminazioni, pregiudizi, attacchi da parte tanto maschile quanto femminile. Racconta la Sciandivasci in merito alle reazioni generate da un suo intervento in televisione sul perché non si fanno più figli: “Si arrabbiano maschi, femmine, mariti, mogli, padri, madri, nonni, nonne, zii, zie, amiche di mia madre, professori di liceo, professori universitari, adolescenti, colleghi, colleghe, un prete. Si arrabbiano e s’indignano, mi scrivono che avrei dovuto usare un tono più garbato, modesto, rispettoso. (…) Nessuno immagina cosa significhi ricevere decine di messaggi di questo tenore per giorni, per settimane, dopo aver fatto niente di più che il proprio mestiere. A nessuno importa quanto può pesare, quanto può diventare condizionante: sanzioniamo qualsiasi atteggiamento giudicante, sovrastimandone l’impatto, e sostenendo che anche un sopracciglio alzato può inibire per sempre l’espressione libera del sé, ma mai nessuno prende in considerazione le conseguenze che l’irrisione e il dileggio dei giornalisti hanno sull’informazione”.

E allora eccola, quella società che si proclama progressista e aperta ad accogliere tutti, che finge di non giudicare le donne in base al numero di figli, prima e ben oltre la moltitudine di scelte, desideri, attitudini, azioni che le caratterizzano e le descrivono, nella loro complessità. Pertanto sì, c’è bisogno di un libro che si intitola proprio I figli che non voglio, dove l’esposizione di idee differenti, punti di vista, esperienze personali, proposte e riflessioni avviene in maniera sana, pacata, nel rispetto l’uno dell’altro, apportando quindi ciascuno il proprio contributo alla crescita e all’evoluzione della nostra comunità. Quella della Sciandivasci è una raccolta di scritti che fa bene a tutti leggere, per aprirsi al confronto e accettare idee diverse dalla propria; la consigliamo quindi alle mamme e non, ai papà e non, alle coppie e ai single, ai giovani e agli adulti, perché – come afferma l’autrice – “di questa storia dei figli dobbiamo tornare a parlare, (…) oggi su domani, domani su dopo, dopodomani su tutto l’anno”.


 

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