Intervista allo scrittore pluripremiato Robert Seethaler
L’autore austriaco è in Italia per promuovere il suo ultimo romanzo “Il bar senza nome”
Robert Seethaler ha avuto una carriera lampo: divenuto celebre già con il romanzo d’esordio nel 2007, continua a vincere premi e a far parlare di sé. In occasione del suo soggiorno a Milano, Affaritaliani.it lo ha intervistato a proposito del suo nuovo romanzo Il bar senza nome.
Non accade di certo a tutti gli scrittori di pubblicare il proprio romanzo d’esordio e vincere grazie ad esso il prestigioso premio del Buddenbrookhaus. Ovviamente da quel 2007 in poi la strada di Robert Seethaler è stata tutta in discesa, tra milioni di copie vendute, traduzioni in 40 Paesi, altri romanzi che hanno riscosso sempre più successo e una vita ormai divisa tra le amate città di Vienna e Berlino. Un sogno, per chi come lui arriva da una famiglia povera, da un quartiere di provincia e di certo non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto il suo futuro sarebbe stato radioso grazie alla sua capacità di inventare storie avvincenti, che lui stesso sostiene scaturire dalla parte più inconsapevole e istintiva di sé.
Il suo nuovo romanzo, Il bar senza nome, è uscito in Italia il 14 giugno e noi di Affaritaliani.it siamo tra i primi ad averlo letto e poi ad aver intervistato l’autore, di passaggio a Milano per il tour promozionale organizzato dalla casa editrice Neri Pozza. Robert Seethaler racconta nel suo ultimo lavoro la storia immaginaria di un ragazzo che nel 1966 – peraltro anno di nascita di Seethaler – decide di aprire un bar in una Vienna ancora misera e disfatta, ma con grandi possibilità. Sarà attorno a questo centro di aggregazione e di incontro che ruoteranno i molti personaggi del romanzo, il quale si pone come un grande affresco di menti, vite, prospettive, sogni nella Vienna degli anni Settanta. Atmosfere in bianco e nero proprio come la cover del libro, che lasciano suggestioni nel lettore e spesso si intrecciano all’arte della fotografia, oltre che a quella cinematografica. Seethaler è infatti anche un grande appassionato di cinema e scrive sceneggiature; per lui è stata quindi un’immensa soddisfazione sapere che da uno dei suoi libri di maggiore successo, Una vita intera, è strato tratto un film, che uscirà il prossimo novembre. Nel frattempo troviamo in libreria per Neri Pozza Il bar senza nome, che vi lasciamo scoprire dalle parole stesse di Seethaler.
Partiamo dalla genesi del romanzo. Come nasce per lei una storia?
“Io vedo le storie come dei fiumi che hanno sì una sorgente, ma presentano anche tanti affluenti; questi ultimi sono spesso imprevedibili e impossibili da seguire. C’è sempre alla base ovviamente la mia esperienza personale, ma mai in maniera del tutto consapevole; in generale, infatti, preferisco inventare una nuova realtà piuttosto che descriverne una già esistente. In questo caso il concetto del bar – o potremmo dire del locale e dello spazio pubblico – assume un ruolo fondamentale nell’intero romanzo, come d’altra parte lo è sempre stato anche nella mia vita. In tal senso mi sono ispirato ai cosiddetti heuriger viennesi, un patrimonio storico e culturale della città che rappresentano la tradizione austriaca e in cui io stesso ho trascorso molto tempo”.
Il fascino di Vienna traspare dalle pagine di questo romanzo, pur nelle sue evoluzioni e nei cambiamenti del tempo. Che cosa significa per lei questa città e quali ricordi ha della Vienna negli anni Settanta, quando era un bambino?
“Rispondendo a questa domanda sento di dover esprimere una nota di cautela, perché è sempre rischioso parlare della propria giovinezza: si tende, infatti, a trasferire la sensibilità del bambino e poi del ragazzo all’esterno, magari rischiando di non essere oggettivi. Ad ogni modo io devo ammettere di non aver avuto un’infanzia felice e forse anche per questo il mio ricordo della Vienna di quegli anni è quello di una città grigia, tipica dell’est Europa, trasandata e sommersa dalla polvere. È però anche vero che provengo da una famiglia povera e sono cresciuto in un quartiere degradato, con poca luce, perciò la mia esperienza di certo non coinciderà con quella di altri miei coetanei più benestanti. Ora tutto è cambiato, tanto nei luoghi quanto nella mia vita. Vienna è diventata una città europea con milioni di abitanti e influenze da tutto il mondo, sempre illuminata, piena di bellezza. Purtroppo a volte anche troppo, tanto da sembrare una Disneyland per turisti. Ad esempio, i bar e i locali così come li racconto nel mio romanzo non esistono più”.
Ne Il bar senza nome c’è un protagonista, ma è accerchiato da una moltitudine di personaggi che ruotano attorno al suo bar e diventano a loro volta protagonisti. Si è ispirato a qualche conoscente o amico per descriverli o sono frutto della sua fantasia?
“La mia vita reale è una continua fonte di ispirazione, però concretamente non c’è nessun conoscente o viso noto nel libro, si tratta di creazione narrativa a tutto tondo. Scrivere per me significa creare e non descrivere, inoltre il processo di scrittura è per lo più inconscio; non esco fuori in cerca di immagini, al contrario vedo meglio con gli occhi chiusi. Mi baso molto sull’intuito e quando inizio a buttare giù una storia non ho mai in mente una trama precisa: vi sono piuttosto una serie di sguardi che raccolgo e poi lascio che le cose fluiscano liberamente, senza troppa progettazione”.
Oltre ad essere un romanziere lei è anche uno sceneggiatore. In che modo la sua passione per il cinema influenza i suoi libri?
“Mi definisco uno scrittore che colleziona istantanee, immagini del momento: vengo attraversato da quadri e cerco di trasformarli in realtà. Questo è a mio parere il legame più forte che esiste tra i miei libri e il mondo cinematografico, ovvero il tentativo di essere degni di queste immagini e di restituirle nella maniera più chiara al lettore/spettatore, trasformandole in parole o in fotogrammi. L’aspetto più difficile, ma anche sorprendente, di questo processo consiste nel fatto che io mi impegno a descrivere nella maniera più precisa possibile immagini che tuttavia non vedo mai con nitidezza; i miei personaggi infatti non hanno mai un volto, mi baso su atmosfere astratte. In tal senso il cinema a volte può essere un po’ deludente, perché dà un corpo a entità immaginarie”.
Quali sono i suoi registi e autori di riferimento?
“Tra gli autori mi piace ricordare Cormac McCarthy, da poco scomparso, in quanto La strada è stato uno dei libri più belli che abbia mai letto e sicuramente molto amato. Tra i registi mi sento in sintonia con Sorrentino, che trovo essere un vero compositore e pittore delle sue opere. In generale mi piace il cinema che pone al centro i giochi di luce e passa sempre radente alla realtà effettiva, dando vita ad atmosfere straordinarie. Mi sento collegato a queste figure perché come me cercano di guardare il mondo, creando però una nuova realtà”.
Visto che si trova nel nostro Paese, le chiedo che cosa le piace in particolare dell’Italia.
“Senza dubbio alcuno il cibo, la cucina italiana è la migliore del mondo. Quando sono qui a Milano non riesco mai a staccare gli occhi dalle gelaterie e dai tanti bar con vetrine che espongono delizie. E poi amo l’acciottolato sulle strade, questa pavimentazione antica e arrotondata dal passare del tempo, che trovo molto suggestiva. Per me l’immagine dell’Italia è una bella gelateria in una piazza silenziosa con un grande pavimento in ciottoli”.
In conclusione parliamo di nuovi progetti: dal film in uscita alle prossime opere.
“Il film di Una vita intera uscirà a novembre, ma io ho preso la decisione di non seguirlo nel suo sviluppo perché penso che le opere siano come i figli: a un certo punto bisogna lasciarle andare al loro destino e sperare che incontrino qualcun altro che li farà crescere ancora e si prenderà cura di loro. Nel frattempo ho scritto un’opera teatrale che a breve verrà rappresentata in un importante teatro tedesco. Per il resto, ho intenzione di riposarmi e di dedicarmi alla ricerca della mia gelateria perfetta”.