La bambina che mangiava i comunisti: la recensione di Alessandra Peluso

"Una favola politica" di Patrizia Carrano per la casa editrice Vallecchi (Firenze)

di Alessandra Peluso
Libri & Editori
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La bambina che mangiava i comunisti: una certa ideologia che si alterna tra leggenda e storia, tra favola e narrazione. Contraddizioni. Paradossi

Patrizia Carrano, elegante e pregevole “narratrice” (in tal modo preferisce definirsi) di storie che hanno come protagonisti i bambini, i luoghi dell’infanzia, dell’autenticità, di ciò che segna o ha tracciato in gran parte l’esistenza di ciascuno di noi. Così come accade nel romanzo “La bambina che mangiava i comunisti” per i tipi di Vallecchi (Firenze). Qui il lettore evince nell’immediato dal titolo i profumi che potrà respirare: una certa ideologia che si alterna tra leggenda e storia, tra favola e narrazione. Contraddizioni. Paradossi.

Si tratta di una “favola politica” – secondo Carrano – avventurosa vissuta da una bambina che per non essere lasciata da sola segue la mamma comunista sempre in trincea per difendere i suoi ideali di sinistra, i lavoratori, aiutare la povera gente. Il romanzo è ambientato nel Campo Parioli di Roma. Elisabetta con sua madre che - a dispetto di quanto si possa immaginare non è la protagonista, - poiché l’Autrice affida alla piccola Elisabetta il ruolo centrale del romanzo, non è un caso, evidente il desiderio di porre in luce le esigenze dell’infanzia, i bisogni e i difficili momenti che un figlio in tal caso, una figlia vive nella propria famiglia d’origine. È noto: non si sceglie dove nascere. E allora, Patrizia Carrano con semplicità e sensibilità trasforma “La bambina che mangiava i comunisti” in una bambina che si nutriva di loro respirando la cultura di quel mondo.

Emerge un quadro storico di notevole importanza per l’Italia ben curato e strutturato da documentazioni, studi, ricerche. Al contempo, si dipana l’infanzia di Elisabetta: «La mamma è silenziosa e la bambina fa finta di pulire i gambi del sedano, ma ascolta attentissima. Viviana e Felice Chilanti sono gli amici di sua madre che le sono più simpatici. Lui scrive, lei si occupa di politica e di vestiti: ora sta lavorando a organizzare una missione commerciale in Russia, patrocinata dall’industria della moda italiana» (pp. 68-69). Contrariamente da quanto si possa pensare parlare di bambini senza per questo risultare stucchevoli o cadere nella retorica è un affaire complicato che Carrano riesce a risolvere con acume vivendo assieme a Elisabetta, condividendo i suoi timori e le sue insicurezze, il coraggio, il desiderio perché forse è ella stessa quella bambina e in parte ha vissuto ciò che descrive. Momenti autobiografici che rendono il romanzo verace.

La narrazione è cadenzata in stagioni che appartengono al cuore, ai ricordi. La nostalgia è una dolce memoria di una bambina che ancora vive fermamente nell’Autrice e con lei regala suon di “violini di legno lucido”. Si alternano adagio gli episodi avventurosi tra primavera, estate, autunno e si chiudono con l’inverno. Con questa stagione termina anche «l’infanzia di Elisabetta. Pochi giorni dopo, al XX Congresso del PCUS, Krusciov rivela le atroci mattanze di Stalin. In ottobre i carri armati sovietici entrano a Budapest» (p. 156).

Oltre la storia e nella storia ciò che traluce è l’avventura esistenziale di Elisabetta. È fondamentale che ogni bambino pensi con la sua testa: aspetto di notevole importanza, in passato non considerato affatto e nel contemporaneo trascurato; in definitiva, interessa poco agli adulti cosa pensino i bambini, i propri figli, ciò che conta è per lo più ingozzarli di oggetti da consumo, di materia, perché questo si è: materia, prodotto da consumo e non anima, non sentimenti, affetti, ascolti. L’essere è più importante dell’avere. La grande lezione dei bambini: a loro interessa esserci, essere ascoltati, visti, aiutati. Svezzati. Per crescere sani in un mondo che non è creato per loro ma talvolta contro di loro e da vittime innocenti paradossalmente potrebbero trasformarsi in carnefici e ‘mangiare gli adulti’, non solo i ‘comunisti’, affinché qualcuno si accorga della loro insindacabile presenza.

Perciò, “La bambina che mangiava i comunisti” è una lezione di vita per chi saprà leggere, rileggere e comprendere che «l’unica speranza di salvezza del mondo è – come ci ricorda anche Elsa Morante – affidata proprio ai ragazzini» (p. 163). Un monito inequivocabile. Un invito a non dimenticarlo.