Le parole della poesia, raccontate dai maestri della parola. La recensione

Grandi poeti interpretano attraverso le parole alcuni temi essenziali che costituiscono i capolavori della letteratura

di Alessandra Peluso
Libri & Editori
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Le parole della poesia: le interpretazioni di Milo De Angelis, Giuseppe Conte, Giancarlo Pontiggia, Silvia Bre, Roberto Mussapi, Rosita Copioli

Ritorno” “Visione” dove tutto ha avuto “Origine”. È un “Mistero” ed è al contempo “Magia”. Quel “Simbolo”. Il nostro simbolo: la vita. Di questo si tratta nei preziosi di poesia, di “parole della poesia”, firmati Vallecchi (Firenze).

I Maestri della parola quali nello specifico Milo De Angelis, Giuseppe Conte, Giancarlo Pontiggia, Silvia Bre, Roberto Mussapi, Rosita Copioli interpretano attraverso le parole alcuni temi essenziali che costituiscono i capolavori della letteratura.

De Angelis affronta con il “Ritorno” la metafora esistenziale del viaggio celebrato da Omero, Foscolo, Kavafis dove la nota poesia “Itaca” ricorda come vivere significa esplorare, scoprire e provare anche a percorrere le mille deviazioni che non indica - puntualizza De Angelis – «tradire Itaca, proprio perché Itaca è la meta e insieme il cammino, l’approdo e insieme l’avventura, lo scopo del viaggio e insieme la sua infinita presenza» (p. 29); e inoltre, Dino Campana, fino ad assaporare i versi dello stesso De Angelis che epiloga con uno stile delfino nell’azzurro mare in una simbiotica visione con il cielo.

E ancora, Giuseppe Conte evoca Dante e la Commedia e sottolinea che «aver visioni» significa «dialogare con l’invisibile, parlare con un’onda, o con la luce della luna, o con un cespuglio di erica (come è capitato a me), o con chi non c’è più, o meglio è dall’altra parte dell’essere, ombra cui solo la tua visione può dare sostanza» (p. 20). D’altronde, la visione ha sostanza nell’“Origine” e qui Pontiggia riprende il primo libro dell’Iliade, Eschilo, Sofocle e si interroga e chiede anche a noi “Dove nacquero le arti, la poesia?”.

Nella risposta di Giancarlo Pontiggia aleggia il “Mistero” che sarà discusso da Silvia Bre, ovvero al “buio delle caverne”, oppure davanti “alla luce di un fuoco”; in fondo “il poeta è un sognatore”, come anche Nietzsche afferma. Ed è nei sogni che appartengono all’umano e alimentano la vita che Bre con la sua voce densa e luminosa traduce il “Mistero” con gli occhi di figure centrali che appartengono all’antica Grecia, svelando come «il vero, il principale mistero a cui siamo tutti esposti è il più semplice fatto di essere vivi» (p. 21).Leggiamo: «Tutte le mattine all’alba mi levavo/ sulla frontiera del deserto / contemplavo la luce del sole / solo così pareva di essere / sulla riva del mare / la lampada si accendeva / nella stanza / come dentro come fuori / scintillavo levandomi / tremolava l’orizzonte / di silice e d’acqua» (p. 75).

“Sulla frontiera del deserto” è la poesia di Rosita Copioli che simboleggia nella “frontiera” il limite e nel “deserto” una fase dell’esistenza che contraddistingue l’umano e deve essere attraversato puntualmente per raggiungere le oasi, lo avevano compreso Nietzsche, Camus, Arendt, poeti, filosofi che comprendevano la necessità di collegare con “ponti” e “porte” la letteratura alla filosofia, le discipline scientifiche a quelle umanistiche. Un limite ancora fortemente vivace nell’odierno presente.

Alle parole della poesia non si può non calare il sipario con il tema quantomai poetico, nonché umano della “Magia”, affrontato da Roberto Mussapi che disvela “i grandi poeti maghi della storia”: William Butler Yeats, ad esempio, che inventa una idilliaca poesia epistolare appartenente al mondo arabico del leggendario sultano Harun Al-Rashid di Kusta Ben Luka, colto dignitario. «In una notte senza luna, seduto / dove poter guardare la sua forma dormiente, / scrivevo a lume di candela, ma lei si mosse / e senza paura di disturbare il suo sonno / mi alzai per schermarla con una stoffa. / Udii la sua voce: “Voltati, affinché ti sveli / ciò che ti ha reso curvo e pallido”» (p. 5). Magie, simboli, spiriti che popolano la natura. Dopodiché Mussapi traduttore di poesia, ci rammenta come la traduzione sia «l’ingresso nelle viscere della poesia. Poiché in una poesia ogni verso è al suo posto, e spostandone l’ordine la poesia perderebbe ogni senso» e aggiungo, si tradirebbe l’Autore in questione compiendo più che una magia un sacrilegio. «C’è un punto di partenza e un punto di arrivo. Il traduttore vuole immergersi in quel viaggio, ritrovare quell’ordine» (p. 33).

Il lettore trasportato dall’intensità delle parole potrà navigare liberamente, salpare in più porti e seguire la propria direzione - la casa della poesia -; qui ritroveremo la fiaba, la magia, il mistero, la visione fino al ritorno alle origini, all’essenza dalla quale si evince in ogni individuo la propria diversità: la singolarità di ciascuno che è il più elevato simbolo di riconoscimento che la vita può regalare e dove solo la “magia dell’amore” potrà mutarne la natura. I poeti custodi della vita, delle nostre esistenze. Delle nostre chimere.