Le vie sociali dell’immaginario. Per una sociologia del profondo. Recensione

"Suddiviso in tre sezioni il volume pone la tesi dell’immaginario tra una dicotomia che contrappone l’immagine al reale: ma..."

di Alessandra Peluso
La copertina del libro
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Le vie sociali dell’immaginario. Per una sociologia del profondo, a cura di Pier Luca Marzo e Luca Mori

Nella Prefazione “Per una Sociologia dell’immaginario e del profondo” Domenico Secondulfo disquisisce sulla necessità di affermare una “Sociologia dell’immaginario” e una “Sociologia del profondo” attraverso il saggio Le vie sociali dell’immaginario. Per una sociologia del profondo, a cura di Pier Luca Marzo e Luca Mori, Mimesis Edizioni, (pp. 298, euro 24,00). I nutriti contributi che compongono il testo attestano l’urgenza di volgere lo sguardo e concentrare l’attenzione sui significati delle immagini non solo dal loro punto di vista estetico, ma dalla profondità che ne emerge in virtù di individui e di una società intrisa di ‘immaginazione’ o di ‘immagini’? «L’immaginario è» - osserva Durkheim - «quella forma fantasmatica del reale creata dall’immaginazione della coscienza collettiva» che regola e integra l’immaginazione individuale nella vita sociale prefigurandone lo sfondo di senso della sua attività mentale e del suo agire; così Pier Luca Marzo, che rivolge un particolare interesse a tale questione riprendendo Simmel: filosofo delle relazioni, sociologo dei sensi e dell’estetica. Mentre Fabio D’Andrea e Valentina Grassi con “La potenza dell’immagine” pongono in luce la “civiltà dell’immagine” caratterizzata dal dandy, dal blasé, e da ciò tessono le contraddittorietà del sociale. Suddiviso in tre sezioni il volume pone la tesi dell’immaginario tra una dicotomia che contrappone l’immagine al reale: ma si tratta di una natura conflittuale come è stato in passato per filosofi quali Aristotele, Platone, Hume, Kant, oppure è una realtà fenomenica che semplicemente si contraddistingue tra impressioni e giudizi?

Si tratta di riflessioni che appartengono anche a un linguaggio fondamentale che in Heidegger ad esempio è panacea dei mali, perché il “regno di Dio” dirà Hegel “vi sarà dato in sovrappiù”. E con queste parole Vincenzo Mele distingue “Il materiale e l’immaginario”: chiarisce le dinamiche tra lavoro e capitale secondo Marx, dell’agire strumentale di Habermas e la Filosofia del denaro di Simmel. È evidente la connessione mentale che è frutto di un ordito dialettico della filosofia e della sociologia. Non solo. Finanche della psicoanalisi. Per Simmel esiste «una dimensione immaginaria che sottende e sostiene la vita in società. In alcune epoche questa può risultare marginalizzata e occupare un ruolo subalterno; in altri periodi, al contrario può costituire il perno intorno al quale si organizza – in maniera più o meno evidente, discreta o segreta – tutta la vita sociale» (V. Mele). Chissà come considererebbe Simmel il contemporaneo: in preda all’immagine senza immaginazione e profondità, forse. D’altronde, aveva già preannunciato nella modernità il conflitto della civiltà moderna e la sua tragicità in vista della quale risiedeva costantemente una conflittualità non conciliabile per il moderno tra immagine e realtà, o se vogliamo tra immaginario e profondità.

I saggi che compongono Le vie sociali dell’immaginario intendono accendere i riflettori sui processi degenerativi degli ambienti socio-antropologici, sulle dinamiche di integrazione, di dominio, sul mutamento sociale e le metamorfosi che la politica, i media, l’economia impongono al soggetto, agli oggetti, oltre a offrire uno sguardo altro alla neocostituita sezione “Immaginario” dell’“Associazione Italiana di Sociologia” che aiuta alla presa di coscienza di tale forma riconoscendone una possibile via di accesso per la comprensione profonda della vita sociale. E ancora, Milena Meo affonda le radici dell’immaginario nella politica con la lettura weberiana: anche la sfera politica ha condizionato l’immaginario di ogni epoca. Espone Meo come la tesi proposta da Weber nell’Etica protestante sia «un esempio magistrale di evidenza di come certi immaginari specifici vengano messi all’opera nella vita di ogni giorno, dando vita a pratiche attive che costituiscono mondi ed edificano istituzioni». In definitiva, la cifra della società diventa leggibile attraverso una lente di ingrandimento che persegue le particolarità del visibile e non visibile nell’universale vita dove si percorrono vie e si cercano vite in virtù di una comprensione profonda, abissale, che riecheggia in superficie solo quando ragione e impulsi si compenetrano, in un equilibrio latente, ma esplicabile, in ciò che i curatori Pier Luca Marzo e Luca Mori hanno inteso compiere con questo egregio lavoro.

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