Mariangela Gualtieri, la poetessa di Jovanotti, e il valore della gratitudine

"Per provare gratitudine occorre uscire da sé, fare meno di un passo ma verso fuori, alzare gli occhi al cielo, riavvicinarsi al selvatico del mondo"

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Mariangela Gualtieri: "Con lockdown e pandemia abbiamo imparato anche quanto è bello il mondo senza di noi"

Jovanotti l'ha portata sul palco di Sanremo facendola conoscere a tutta Italia, ma nel mondo della poesia era già un'istituzione. Stiamo parlando di Mariangela Gualtieri, e della sua poesia Bello Mondo: "In quest'ora della sera, da questo punto del mondo, Ringraziare desidero il divino labirinto delle cause e degli effetti, per la diversità delle creature che compongono questo universo singolare", è l'incipit della composizione che ha recitato Jovanotti.

Mario Calabresi ha intervistato la poetessa (o la poeta, come l'ha definita sul palco dell'Ariston Jovanotti alzando un polverone) nel podcast Altre/Storie, in una puntata dal titolo Il suono del silenzio.

"Ero incredula e contenta" dice Gueltieri sull'omaggio di Jovanotti "anche perché è la più antologica delle mie poesie: il tema del ringraziamento è di Borges e alcuni versi sono suoi, poi ho cucito insieme versi di poeti che amo, trasformandoli in grazie, concertando tutto con versi miei. Dentro una sola poesia c’erano in realtà tanti poeti lì su quel palco. È una poesia molto amata, forse perché appena si comincia a ringraziare si è subito alleggeriti, si esce dalla gabbietta dell’io, pare quasi di attingere forza da tutto ciò che si nomina"


 

"Uno dei concetti più potenti della sua poetica è proprio la gratitudine" chiede Calabresi "la capacità di provare empatia verso il mondo e le persone che incontriamo, la capacità di dire: grazie. Come si può provare gratitudine per la vita in un tempo complicato come quello che stiamo vivendo?"

"Per provare gratitudine occorre uscire da sé, fare meno di un passo ma verso fuori, alzare gli occhi al cielo, o giù, intorno, riavvicinarsi al selvatico del mondo, o guardare bene la faccia che ci sta davanti. Ma per questo micro-spostamento a volte non basta una vita intera. Non credo c’entri questo adesso così complicato.

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Alla gratitudine ci si educa e questo verbo, educare, è proprio perfetto perché contiene l’idea di essere condotti fuori, fuori appunto dal proprio angusto pollaio, dal proprio piccolo nome e cognome, dall’assillante pensiero entro cui siamo blindati. Forse aiuterebbe pensare di più al corpo celeste che abitiamo: una pallina tiepida e colorata che ruota in uno spazio gelido e color caffelatte. Per ora non conosciamo altri luoghi nell’universo così accoglienti, così furiosamente fecondi, capaci di generare nascite quasi ovunque. Questo pianeta-meraviglia è una tale rarità… già questa consapevolezza dovrebbe riempirci di gratitudine e di cura per ogni centimetro di terra".


 

E aggiunge: "Educare alla gratitudine è la via per uscire dall’egocentrismo e dall’antropocentrismo che sono grandi mali della nostra specie. Si è grati perché si è attenti all’altro da noi, e nell’attenzione si coglie il contributo dell’altro al nostro stare bene, la sua preziosità, la sua unicità. 

La gratitudine è per me un modo del respiro. È il modo di essere empatici con tutto il resto e l’empatia potremmo pensarla come forza che regola tutto l’universo, quello che Dante chiama “la gran potenza d’antico amor”. Senza questo sentimento l’ecologia è solo cosmesi, mentre partendo da qui può diventare un naturale, gentile modo di essere e di pensare".

Mariangela Gueltieri ha poi commentato la situazione di emergenza pandemica attuale, che ha anche descritto nella poesia Nove marzo duemilaventi. "Abbiamo imparato, credo, che ciò che chiamavamo normalità era un atteggiamento spaventosamente antropocentrico, causa di un logorio del mondo che se perdura porterà alla probabile nostra estinzione. Abbiamo imparato tutto ciò che ci è mancato.


 

Noi amiamo di più in assenza, nella perdita, nella distanza, nella sconfitta. Abbiamo imparato che non siamo noi i migliori, non siamo la specie dominante e che una manciata di virus basterebbero ad annientarci. E poi tanto altro: quanto è bello darsi la mano, dormire abbracciati ad un amico, stare insieme in un teatro, al cinema, anche stare ammassati in una piazza, in una discoteca, prendere in braccio un bambino senza paura, sedere insieme ad una tavola, ricevere gente a casa, vedere le facce degli altri… la lista è lunghissima.

A scapito del nostro narcisismo di specie, abbiamo imparato anche quanto è bello il mondo senza di noi. C’era un evidente agio e splendore dell’aria, delle piante e degli animali, quando noi eravamo chiusi in casa."

"Spero" aggiunge "che diverremo consapevoli che non solo il destino umano è comune, ma soprattutto che dipende da quello di tutti i viventi del pianeta. Senza allargare questo ‘noi’ oltre l’umano, senza includere le api, i lombrichi, le piante e tutto il sacro selvatico del mondo, non ce la potremo fare. La scienza ce lo sta gridando a più non posso". 

L'intervista completa a Mariangela Gualtieri è disponibile nel podcast di Mario Calabresi Altre/Storie.

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