“Mie magnifiche maestre”: il nuovo romanzo di Fabio Genovesi commuove e strappa risate
Appena uscito per Mondadori, l’ultimo libro di Genovesi è forse uno dei suoi migliori. Un ritratto delle donne della sua famiglia con un pizzico di ironia
Fabio Genovesi non è uno scrittore alle prime armi. Nel 2015 ha vinto il Premio Strega Giovani con Chi manda le onde, entrando anche nella cinquina finalista; poi sono arrivati il Premio Viareggio con Il mare dove non si tocca, le centinaia di migliaia di copie vendute, la narrativa per ragazzi e dal 2019 anche l’esperienza come voce “culturale” della Rai per il Giro d’Italia. È, quindi, un autore che la narrativa la sa fare, e anche bene, ormai da molti anni pubblicato da Mondadori. E tuttavia Mie magnifiche maestre, uscito recentemente con la stessa casa editrice e già pronto per un intenso tour estivo, appare – a chi Genovesi lo ha già letto – come qualcosa di nuovo: uno scatto in avanti, un cambio di rotta, una crescita come uomo oltre che come scrittore.
Lo si sente pagina dopo pagina quanto di lui ci sia in questo romanzo, autobiografico persino nei nomi. Protagoniste delle sue notti, che si popolano di sogni a una settimana dal compimento dei cinquant’anni, sono le donne della sua famiglia, quella di sangue ma anche quella acquisita, costituita da affetti e legami ugualmente indissolubili. C’è la trisnonna Isolina, che l’amore se l’è andato a prendere con una falce calata sul fianco del marito sempre ubriaco, il quale da quella volta in poi ha cambiato registro ed è tornato ad essere presente, premuroso; ci sono le zie per parentela e quelle arrivate nel corso del tempo, soprattutto quando da piccolo i genitori lo lasciavano alle amiche di paese, una più strana dell’altra, eppure inconsapevoli maestre di vita; c’è la mamma, che sa tranquillizzare chiunque con la sua visione da eterna bambina; ci sono le compagne di scuola, le ragazze scomparse troppo presto, la cugina e i primi amori.
Tutte ritornano di notte per non essere dimenticate e alla mattina Fabio trascrive cercando di restare il più fedele alla “verità”: «questa è la storia delle donne di casa mia, e della settimana in cui sono tornate per raccontarmela. Sono morte, ma mi parlano nei sogni, perché appunto alla morte e ai sogni non hanno creduto mai. Tutto è sempre vero e sempre vivo. Non lo puoi comprendere, ma ti viene a sorprendere, ti viene a prendere».
Si fondono insieme, capitolo dopo capitolo, riflessioni profonde sull’esistenza e sul modo in cui si sceglie di viverla, punti di vista diversi, personaggi fuori dalle righe ed episodi che strappano al lettore non poche risate, soprattutto perché escono fuori dalle pagine con tutta la spontaneità con cui all’epoca sono accaduti. Un’epoca ormai lontana, che vede Forte dei Marmi come una terra perduta, oggi trasformata dal turismo estremo e dall’assalto dei ricchi.
Un’epoca per cui non si può che provare una certa nostalgia, sebbene il romanzo in sé non tocchi mai direttamente le corde del rimpianto, della malinconia. Esse, però, vibrano ugualmente, perché in fondo quelle storie di uova di Pasqua benedette in chiesa e lunghe estati al mare, passeggiate nel fitto della natura selvaggia e pomeriggi a pesca, pantaloni troppo larghi e ore di catechismo, sono anche le nostre storie, quelle della nostra infanzia.
Fabio Genovesi ci racconta di quella volta in cui rischiò di morire dentro una pozza di letame, ma venne salvato proprio dalla zia meno amata; di quando trascorreva i pomeriggi con la ragazza più bella e vivace di Forte dei Marmi, senza che nessuno si rendesse conto che stava sprofondando nella droga e ben presto li avrebbe lasciati; della “zia” Irene che non poteva avere bambini perché amava le donne, ma questo non si poteva dire; della medium che ormai ha perso la memoria e non ricorda più nemmeno chi sia, eppure è ancora in grado di prevedere il futuro. Momenti cristallini che ci sembra di vivere in prima persona, densi di humor ma anche di lezioni di vita.
Esperienze fondamentali per uno come lui che in qualche modo si è sempre distinto dalla massa, alla ricerca di altro, con una domanda pronta ad ogni accadimento, la necessità di andare controcorrente quando tutto il resto del mondo va nella stessa direzione, e non è facile allora capire chi si è, cosa si vuol fare, chi si vuole diventare.
«Niente passa, se non lo fai passare. Tanti dicono che è necessario per andare avanti. Per fare spazio alle cose nuove devi lasciare quelle passate lungo la strada, e forse è vero, se hai un cuore stretto e spigoloso e senza spazio. Forse è vero nel mattino che corre a testa bassa, là fuori. Spesso mi domando se invece non sono io, quello fuori. Fuori tempo, fuori orario, fuori dal ritmo ufficiale del mondo, dal respiro generale che tutto e tutti muove».
Mie magnifiche maestre è un romanzo bello, vero, pieno di emozioni, un po’ nostalgico e un po’ comico, intimista e sociale. Si legge velocemente, anche se poi vale la pena rileggerlo con più attenzione e sottolineare i passaggi significativi. Ogni scena ha il suo valore, ogni capitolo la sua dose di meraviglia, tuttavia è nella parte finale, là dove Genovesi tratta in maniera molto originale il tema della genitorialità, che il libro assume una forma particolare e si eleva ad essere quasi un capolavoro. Di questo, però, non possiamo scrivere, perché si svelerebbe troppo e vogliamo lasciarvi la curiosità di scoprirlo da voi pagina dopo pagina. In attesa dell’intervista all’autore, lo consigliamo intanto come romanzo di questa primavera che tarda ad arrivare, in tutte le librerie per Mondadori.
«Però dovevo resistere, me lo dicevano tutti, all’inizio è dura, poi ti abitui. Ma il guaio è proprio questo, che alla fine ti abitui a tutto, così il bello smette di emozionarti e scompare, il brutto smette di offenderti e ti allaga la vita».