"Presidenzialismo? Cossiga appoggerebbe Giorgia Meloni"
Intervista al quirinalista Marzio Breda, autore del libro “Capi senza Stato”
"Capi senza Stato", su affaritaliani.it parla Marzio Breda
Con la fine della Prima Repubblica e il tramonto dei partiti tradizionali, il Capo dello Stato ha avuto un ruolo sempre più decisivo per colmare il vuoto istituzionale. L'azione dell'inquilino del Quirinale cambia passo. Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella si sono sentiti costretti ad allargare le prerogative assegnate dalla Costituzione, imponendosi di restare il più possibile arbitri neutrali, ma ritrovandosi spesso a vestire i panni di "soggetti governanti", soli e sotto assedio. "Capi senza Stato" è il titolo del libro di Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera, edito da Marsilio Nodi (222 pagine, 18 euro).
Accorti equilibristi, benevoli arbitri, discreti notai, decisi interventisti. Sono gli “stili di regia” dei presidenti della Repubblica di cui parli nel tuo libro. Tra questi esiste uno “stile” ideale o l'abilità dei presidenti della Repubblica è nell'adottare un determinato “stile” a seconda del quadro che hanno davanti?
“Dipende dalla fase e dal passaggio politico che un presidente si trova ad affrontare. Scalfaro viene eletto nel 1992 sull’onda della strage in cui viene ucciso Falcone seguita due mesi dopo da quella che annichilisce Borsellino; comincia l’inchiesta di Tangentopoli, Mani pulite, che decapita il vecchio sistema dei partiti. È una tabula rasa. La Dc, il Psi, i repubblicani, i liberali. Il Pci aveva fatto un’operazione trasformistica dopo il crollo del Muro di Berlino. Quindi Scalfaro si trova con una mafia all’attacco, una questione morale esplosa, i vecchi partiti che scompaiono e nuove formazioni politiche che appaiono come Forza Italia. In più la grande crisi dell’economia con le banche che non comprano più i titoli di Stato e deve inventarsi un governo tecnico con Ciampi per rassicurare i mercati. Campi, eletto 7 anni dopo come capo dello Stato si trova in una situazione politica diversa. Più stabilizzata in cui c’è un’alternanza al governo con Berlusconi e Prodi. Una fase meno drammatica e quindi Ciampi può dedicarsi a ricostruire l’autostima degli italiani, le radici ideali e culturali del Paese, con un patriottismo nazionale, riabilitando le vecchie liturgie repubblicane”.
Mattarella rientra nella categoria dei benevoli arbitri?
“Si”.
Col governo di Cdx può trasformarsi in un ‘presidente di opposizione’?
“Non credo. La natura di un uomo come Matterella è quella che conosciamo. Non mi pare il tipo che voglia mettersi in mezzo più di tanto. Se succedessero delle cose sgrammaticate dal punto di vista costituzionale certamente difenderebbe le istituzioni. Infatti, sia nel governo Conte 1 che Conte 2, non è che Mattarella si sia esposto. Ha atteso che le forze politiche come i 5 stelle si istituzionalizzassero. Non c’è da attendersi un presidente che diventi antagonista con un governo di Centrodestra. Non è nel suo modo di interpretare il ruolo di capo dello Stato”.
Nel testo racconti il progetto di Cossiga sul presidenzialismo. Tu che lo hai conosciuto, secondo te, appoggerebbe la Meloni oggi in questa riforma?
“Forse sì però non abbiamo un quadro chiaro sul tipo di presidenzialismo che si vorrebbe. Quello statunitense o quello francese? O il sindaco d’Italia di cui parla Renzi? Non è così semplice. In questo modo si scardinano gli equilibri e i bilanciamenti della Costituzione. Per fare il presidenzialismo bisogna fare tutta una serie di modifiche alla Costituzione e non è facile che i cittadini poi approvino in un eventuale referendum. La formula che si era inventato Renzi, che riguardava il cambiamento di una ottantina di articoli della Costituzione, poi i cittadini l’hanno bocciata al referendum confermativo. Che idea di presidenzialismo ha in testa la Meloni? E Salvini? E Berlusconi? È uno slogan che è servito per la campagna elettorale ma andrà definito nei suoi contorni studiando un nuovo schema che non sgangheri la cornice in cui è disegnata la Costituzione”.
Nelle ultime pagine del tuo libro esamini la presidenza Mattarella. Il suo secondo mandato sarà ‘a termine’ come quello di Napolitano?
“L’interesse primario di un capo dello Stato è garantire la stabilità del Paese. Nel momento in cui venissero meno certe fibrillazioni e ci fosse una relativa stabilità, Mattarella potrebbe lasciare ma non vedo vicina questa possibilità. Se lo deciderà lo dirà all’ultimo momento”.
Nel testo argomenti il “no” di Mattarella a Savona come ministro dell’Economia nel 2018 ma non parli del “no” di Napolitano a Gratteri come ministro della Giustizia nel 2014, come mai?
“È stato casuale. Era una voce mai confermata e mai approfondita anche se accennata molte volte. Posso immaginare che a lui non andasse bene un magistrato che assumesse un ruolo di ministro. Non penso a problemi di natura personale. Non si è parlato mai con grande chiarezza di questa faccenda”.
Napolitano ha ricevuto pressioni dal Csm?
“Il Capo dello Stato è anche presidente del Csm e a norma di Costituzione (ha due consiglieri giuridici di cui uno che segue il Csm) immagino abbia fatto fare degli approfondimenti. Non credo conoscesse di persona Gratteri. Ma se ci pensiamo bene è stata una cosa tirata fuori tempo dopo da Renzi. Quando aveva fatto il governo non aveva alzato alcuna obiezione”.
Racconti dell’incontro avvenuto tra Bossi e Ciampi nel 1996 al ministero dell’Economia e della richiesta del leader della Lega Nord di introdurre nell’Euro solo la Padania. Zaia oggi torna a parlare con decisione di autonomia. Esiste ancora il rischio che il Sud sia lasciato al suo destino?
“È cambiata la stagione politica. Il Bossi dei tempi di Scalfaro e di Ciampi era sempre all’attacco e vagheggiava davvero di una secessione. Non era uno scherzo. Oggi è diverso. Quello su cui insiste Zaia è un progetto di autonomia aumentata su cui tra l’altro si è fatto aiutare da un costituzionalista di valore, che insegna diritto costituzionale all’università di Padova, Mario Bertolissi, e Mattarella non ha mai detto né ‘a’ nè ‘ba’ perché è previsto dalla Costituzione che ci siano delle forme di decentramento. Semmai è un problema politico per quei partiti che guardano al Sud e hanno un radicamento in Meridione come la Meloni e Conte”.
Tornando a Napolitano, riporti una confidenza che ti fa il Capo dello Stato durante la crisi del 2011. ‘I partner europei non conoscono i limiti del mio potere’. Alludi al fatto che i leader Ue avessero chiesto al Quirinale di rimuovere Berlusconi da Palazzo Chigi?
“No. Lo ricordo nitidamente. Nell’estate 2011 l’economia andava a rotoli con lo spread a 560, la Banca centrale europea che mandava lettere con ultimatum per rientrare del debito pubblico e la Lega rompe politicamente a ottobre. Non c’è stato un complotto. In questo caos era ovvio che in Europa ci fosse preoccupazione. Il presidente della Repubblica all’estero è visto come un’autorità morale. È normale che la Merkel gli chiedesse che cosa stesse accadendo in Italia. Una crisi italiana si sarebbe riflettuta pesantemente su tutta l’Europa. I casi lì erano due: o si andava al voto, ma mancavano due anni, o si faceva un governo tecnico che facesse degli aggiustamenti sull’economia pubblica e tranquillizzasse i mercati. Ed ecco come è nato il governo Monti. Non a caso, va ricordato, Monti fu nominato senatore a vita qualche giorno prima. Con questo atto Napolitano diceva: ‘Ecco, questo uomo non appartiene né alla destra né alla sinistra. Appartiene alle Istituzioni’. Lo ha fatto per donargli una certa neutralità, infatti, il governo Monti quando è nato aveva una larghissima maggioranza. Nessun complotto. La Lega mollò Berlusconi”.