Un anno a Tokyo: il Giappone, Olimpiadi e non solo raccontati da Marzio Broda
Il Giappone, Tokyo e le olimpiadi con gli occhi del manager Marzio Broda, autore di Un anno a Tokyo. Diario sentimentale di viaggio
Il conto alla rovescia è cominciato per le prime olimpiadi senza spettatori che, dal 23 luglio all’8 agosto, si terranno in Giappone. Un paese che, nonostante il proliferare dell’offerta di sushi, sashimi, manga e cosplay, in Italia conosciamo davvero troppo poco. Proviamo a farci raccontare qualche aspetto della società e del mondo del lavoro giapponese da Marzio Broda, serissimo e scanzonato manager di una multinazionale, che, con un preavviso di una settimana, vi ha trascorso recentemente un anno per lavoro e ha raccontato la sua esperienza in Un anno a Tokyo. Diario sentimentale di viaggio uscito in queste settimane per i tipi di Scritturapura, una piccola editrice indipendente che pubblica soprattutto letteratura straniera dai confini dell’Europa.
Broda, lei che ha vissuto in Giappone, a Tokyo, abbastanza a lungo da non essere un semplice turista, che cosa ci può dire della società giapponese in generale? Quanto è diversa da quella italiana? Sbaglio o una delle prime cose è l’organizzazione?
Sì, certo, le parole d’ordine in Giappone sono organizzazione e pianificazione. Le faccio un esempio: quando ero laggiù, era appena stato inaugurato il nuovo mercato del pesce, una struttura importante, che aveva traslocato in una zona più periferica dalla sua sede storica, dove non c’era possibilità di ampliamento. Contestualmente al mercato è stato inaugurato l’allacciamento alla monorotaia, cosicché il nuovo mercato è risultato integrato nella città sin dal primissimo giorno. Il punto è che non hanno semplicemente costruito un mercato, ma pianificato e realizzato un vero e proprio sistema integrato. Non sembra una cosa così complicata, ma a noi in Italia non sempre riesce… I miei amici giapponesi mi spiegavano che la “japanese way” prevede che prima si predispongano i collegamenti e solo dopo si realizzi l’opera. Quando provavo a raccontare delle nostre “cattedrali nel deserto” mi guardavano stupiti, non comprendevano.
In effetti…
Il Giappone è anche ricerca continua dell’eccellenza senza compromessi, cura maniacale del prodotto, ottimizzazione dei processi produttivi. Basti pensare che oggi i metodi giapponesi di organizzazione del lavoro sono diventati un riferimento mondiale e materia di studio. La ricerca del miglioramento continuo è basata sulla responsabilizzazione di ogni lavoratore. In Giappone la spinta innovativa viene dal basso, da chi vive quotidianamente la realtà della linea di produzione: ogni lavoratore ha la possibilità, anzi la responsabilità, di individuare e proporre al management soluzioni per migliorare l’efficienza, ridurre gli sprechi, migliorare la qualità. Basta andare alla Tokyo Station per rendersi conto dell’efficienza e del perfetto sincronismo con cui, in sette minuti sette, gli addetti puliscono a specchio le sedici carrozze del treno Shinkansen appena arrivato da Osaka. Ci sono addirittura dei video in rete: iniziano tutti con l’inchino che le squadre fanno al treno all’arrivo in stazione. Ebbene, ogni squadra opera con una certa autonomia, è responsabile di organizzare al meglio la propria attività e condivide regolarmente con le altre nuove idee di miglioramento così che tutti possano discuterle ed eventualmente metterle in pratica.
Come l’Italia, il Giappone è un paese in cui i terremoti sono frequenti…
Direi molto più frequenti che in Italia, è un’esperienza quasi quotidiana, occorre un po’ di tempo per abituarcisi, per smettere di spaventarsi. Come per ogni aspetto della vita giapponese, anche il problema dei terremoti è affrontato con l’organizzazione e la pianificazione. In ufficio tutti hanno il proprio caschetto sotto la scrivania, nelle scuole si organizzano regolarmente esercitazioni: quali comportamenti adottare, come proteggersi, quali sono le vie di fuga. Ogni quartiere di Tokyo ha aree di ritrovo e di ricovero ben definite e note a tutti, palestre, scuole, spazi aperti. Sismografi posizionati a intervalli regolari lungo le linee dell’alta velocità interrompono l’alimentazione degli Shinkansen se registrano scosse superiori a certi livelli, negli ascensori dei grattacieli ci sono kit di sopravvivenza (cibo, acqua, torce, toilette portatili!), e ovviamente le case sono costruite secondo criteri antisismici. Ad ogni scossa un’app sul cellulare ne comunica l’intensità, così chi stava dormendo capisce se può girarsi dall’altra parte oppure deve infilarsi le pantofole e correre giù. Io però l’app non ce l’avevo…
Quindi grande cura dei luoghi e delle cose…
A imparare il rispetto dell’ambiente in cui si vive e degli spazi comuni i giapponesi cominciano da piccoli: a scuola i bambini, sotto la supervisione degli insegnanti, hanno il compito di tenere pulita la classe, a turno servono a mensa e puliscono i bagni. Non male, no? Tokyo è una città molto pulita, malgrado lungo le strade… non ci siano cestini dei rifiuti. Pare che siano stati rimossi negli anni ’90 dopo un attacco terroristico, quando vi furono nascoste bombolette con gas tossici. Lungo i corridoi della metropolitana è frequente incontrare addetti equipaggiati di panni e aspirapolvere che, con la stessa cura che ti aspetteresti nel salotto di casa, puliscono mancorrenti, gradini e angoli nascosti. Non sono un grande consumatore di chewing-gum, e non vorrei essere rimasto indietro rispetto a quelli nostrani, ma in Giappone nella confezione c’è anche un pacchettino di foglietti, tipo i post-it, in cui riporre la gomma prima di gettarla. Dove non so, visto che i cestini non ci sono…
Dietro tutta questa organizzazione ed efficienza c’è una diversa etica del lavoro?
Nel lavoro si cerca la perfezione: ogni situazione viene prima studiata nel minimo dettaglio, prendendo in considerazione infiniti punti di vista e possibilità. Quindi, inevitabilmente, si parte con lentezza ma, una volta definito il processo, si procede veloci. Negli uffici le giornate trascorrono nel silenzio e senza interruzioni, e c’è sempre un buon numero di persone che rimane a lavorare sino alle nove di sera. Non so se possiamo parlare di etica del lavoro, ma nei giapponesi ho visto una caratteristica che suscita in me un profondo rispetto: la dedizione con cui ognuno esercita il proprio compito, che viene svolto non solo con serietà e impegno, ma con immedesimazione nel ruolo, indipendentemente da quanto prestigioso o umile sia.
In sostanza, che cosa “importerebbe” dal Giappone?
Questo è facile: il rispetto per il bene comune. I giapponesi percepiscono il bene pubblico, appunto, come appartenente a tutti, e quindi se ne prendono cura come fosse una loro proprietà personale. Improbabile imbattersi in un distributore automatico vandalizzato, rifiuti gettati per strada, toilette non perfettamente pulite o treni “graffittati”. Credo si tratti dello stesso motivo per cui i giapponesi sono anche molto rispettosi delle regole: in fondo le regole non sono altro che un bene pubblico speciale, immateriale, che abbiamo inventato per migliorare la convivenza.
In Un anno a Tokyo racconta che nei cinque anni prima delle olimpiadi del 1964 a Tokyo furono costruiti, oltre alle infrastrutture sportive, 10.000 nuovi palazzi, 2 linee di metropolitana, la monorotaia di collegamento con l’aeroporto di Tokyo-Haneda, il primo servizio commerciale al mondo ad alta velocità eccetera. E per questa olimpiade che cosa è successo?
Confrontare il Giappone di allora con quello odierno significa fotografare due realtà molto differenti. Nel 1964 il Giappone contava una popolazione di 97 milioni di abitanti che producevano un PIL di 30 trilioni di yen. Rispetto ad allora la popolazione è aumentata di un terzo, il PIL di quasi venti volte. Le olimpiadi del 1964 erano state prima stimolo e poi vetrina della ricostruzione post bellica: Tokyo non era ricca, allora, basti pensare che i primi hotel a cinque stelle furono costruiti proprio per quella occasione. Oggi Tokyo è acclamata come una delle città più sfavillanti, alla moda e costose del pianeta, e non ha certo bisogno di vetrine. Le olimpiadi hanno alimentato un dibattito pubblico inusuale in un paese noto per la ricerca del consenso: preoccupata per la pandemia, buona parte della popolazione avrebbe preferito rinviarle di un altro anno, mentre la classe politica voleva mantenere l’impegno preso, evitando così di dover pagare miliardi di danni al Comitato olimpico. La decisione finale è stata quella di confermarle, ma saranno olimpiadi senza pubblico: inizialmente si pensava di vietare l’ingresso solamente ai supporter stranieri, poi è arrivata la decisione di chiudere i cancelli anche ai tifosi giapponesi… Un vero peccato, considerando che il presidente del Comitato olimpico le aveva definite “le olimpiadi meglio preparate della storia”… E trattandosi di organizzazione giapponese, c’è da crederci!
Chiudiamo in leggerezza, ci dica qualcosa del cibo: cosa vuol dire mangiare tutti i giorni in Giappone?
Mamma mia come si mangia bene in Giappone! E non solo sushi e sashimi ma anche tantissimi altri piatti molto più strani e altrettanto buoni. Prima di partire mi ero detto: ora che vado in Giappone, niente pasta, niente pane, solamente riso cotto al vapore e pesce crudo: è la volta buona che dimagrisco! Beh, non è andata proprio così…