“Ma quale Russia?! Questa è l’Ucraina!”: parla l'autore di uno spot profetico
Luciano Nardi racconta la nascita di un'idea vincente: "Merito anche di Paolo Mieli e del suo amore per la storia"
L'advertising in un mondo che cambia
“Ma quale Russia?! Questa è l’Ucraina!”. In questi drammatici giorni, tutti abbiamo ripensato allo storico spot del 1995, che si è rivelato profetico. La storia si ripete e se ad ispirare quella fortunatissima pubblicità commissionata da Il Corriere della Sera era stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica, oggi a riportarla d’attualità sono le brame di Putin, che vorrebbe ricostruire qualcosa di molto simile. Ma come nasce uno spot in grado di entrare così profondamente nella cultura collettiva? Affaritaliani.it ha intervistato il suo autore: Luciano Nardi, uno dei più brillanti pubblicitari italiani. Oggi alla guida di Kube Libre Industrie Creative, che lui stesso ha fondato, nel corso della sua carriera è stato fondatore, direttore creativo e ad di Bcube e, ancora prima, Direttore Creativo Worlwide Leo Burnett per il Gruppo Fiat. È stato lui a ideare spot pluripremiati come quello della nazionale di bob giamaicana per Fiat Doblò, nonché quello con Paolo Sorrentino e Jeremy Irons per Fiat Croma (“Un grande viaggio”) e quello con Dario Fo per Apple. “Ukraina!” è però rimasto nell’immaginario collettivo, per una serie di ragioni che il suo stesso autore ci spiega.
Come è nata l’idea per questo spot?
“All’epoca lavoravo per TBWA, che seguiva la comunicazione de Il Corriere della Sera. Nei primi anni ’90 il proliferare delle tv private alimentava la concorrenza tra i quotidiani, che per aumentare i lettori sfornavano diversi prodotti collaterali. Due anni prima avevo seguito il lancio del corso di inglese e francese, che permise al Corriere di avere la meglio su La Repubblica, che invece aveva proposto solo il corso d’inglese. Poi toccò al lancio dell’atlante geografico e lì ci venne un’idea nuova”.
Quale fu l'intuizione?
“L’atlante sarebbe stato pubblicato prima dell’inizio dell’anno scolastico, puntando al target degli studenti. Con tutti i cambiamenti che si stavano verificando nel mondo, ci siamo resi conto che in realtà tutte le famiglie avrebbero avuto bisogno di un nuovo atlante. Ai mondiali di calcio del 1994 erano in corsa paesi che prima non esistevano e abbiamo pensato a un bambino che chiedesse al padre di spiegargli cosa fosse successo: in nessuna casa c’era un atlante aggiornato, quindi pensammo a una pubblicità molto pop, per raggiungere il pubblico più vasto possibile”.
Perché avete pensato al personaggio dell’astronauta sovietico?
“Rispetto a tutti i cambiamenti negli stati e nei confini, ci siamo posti una domanda: ‘Chi non se ne è ancora accorto’’. Inizialmente avevamo pensato a un eremita, ma la pubblicità deve avere attinenza col reale e quindi ci siamo ispirati al caso di qualche tempo prima, con una navicella che non riusciva a tornare sulla Terra. Abbiamo quindi pensato all’astronauta sovietico che, di ritorno dalla missione, trovava un mondo cambiato: non solo l’URSS, ma anche la Cecoslovacchia era sparita, come si dice anche nello spot”.
Come lo avete realizzato?
“Con l’aiuto di professionisti del cinema, perché dovevamo dare un senso di realtà. Per la regia ci siamo affidati a Riccardo Milani, che si era da poco messo in proprio dopo aver fatto da aiuto a Nanni Moretti in Caro Diario. La Bianca Film ci ha aiutato con la produzione, in collaborazione con Cinecittà, creando effetti realistici nell’ambientazione, nella navicella e nei costumi, ma anche nel cast, perché il linguaggio è stata la scelta vincente”.
In che modo?
“Abbiamo selezionato persone che veramente parlavano russo, perché non volevamo che si parlasse un russo maccheronico o macchettistico come quello di Ivan Drago, quando si guarda la versione di Rocky doppiato in italiano. Per lo stesso motivo, abbiamo scelto di lasciare l’audio in russo e di usare i sottotitoli, scelta per certi versi azzardata, ma vincente”.
Perché azzardata?
“Quando si realizza uno spot, bisogna sempre chiedersi se sarà in grado di attirare l’attenzione del pubblico, che magari in quel momento è a tavola. Un audio così insolito è stato una scelta azzeccata, perché ha spinto gli spettatori a concentrarsi e a seguire i sottotitoli. La scelta è stata giusta, anche per merito del committente. Siamo stati fortunati, perché in quel momento a dirigere Il Corriere della Sera c’era Paolo Mieli, che notoriamente ama molto la storia e quindi apprezzò la nostra impostazione per questa pubblicità”.
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