Tendenze 2021: il brand journalism è il futuro dei media? No, è il presente

Utilizzare le tecniche del giornalismo per fare comunicazione aziendale, così evolve il mestiere di chi racconta la contemporaneità

di Lorenzo Zacchetti*
Marketing
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Che cos'è il brand journalism?

“Every company is a media company”. Questo motto, lanciato da un celebre articolo di Tom Foremski (ex del Financial Times) si è ormai diffuso in maniera virale tra chiunque si occupi di comunicazione e marketing, costringendo a una profonda revisione degli schemi operativi che davamo per consolidati. E questo è un bene. È infatti necessario sapersi adeguare a uno scenario che cambia, ma questa operazione pare particolarmente difficile nel settore del giornalismo, almeno in quello che è nato nell'era del cartaceo e ancora fatica a trovare la propria dimensione in quella della Rete. Aggiornando Antonio Gramsci, si può ben dire che “Il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire”. Almeno per il giornalismo classico.

La comunicazione aziendale nella post-disintermediazione

Nella comunicazione aziendale, il mondo nuovo è nato eccome. E non da oggi. La più evidente rivoluzione portata dalla Rete viene sintetizzata con il nome di “disintermediazione”: ognuno può informarsi direttamente -  e informare gli altri – senza più dover passare dalla mediazione delle testate giornalistiche, che hanno il compito di verificare ciò che è davvero reale e filtrare ciò che no è di interesse pubblico. È la fine del giornalismo? No di certo, perché la proliferazione di fonti talvolta bizzarre e quasi impossibili da verificare sta invece portando a un ritorno alla ricerca di credibilità: i segnali del mercato indicano già da tempo una reazione alle fake-news e al clicbaiting e questo è certamente un segnale positivo per testate storiche come affaritaliani.it, che infatti in questo 2021 che volge al termine ha intrapreso una curva di crescita decisamente interessante. Ma, detto del giornalismo, che cosa comporta la disintermediazione nello specifico della comunicazione aziendale?

Come posizionarsi nella galassia dell'infodemia

Diversi casi pratici dimostrano come sia possibile distruggere una brand-awareness faticosamente costruita nel corso dei decenni semplicemente per l'opera di un singolo contestatore che diffonde notizie o commenti negativi rispetto a una specifica azienda. A volte il tutto nasce da errori di posizionamento e condotta effettivamente commessi, mentre in altri casi a muovere la shitstorm sono interessi di parte, non sempre commendevoli. Sul piano comunicativo questo cambia poco: l'impossibilità di avere un controllo efficace sulla galassia infodemica prodotta dal Web fa sì che le aziende più sagge stiano rispolverando i vecchi insegnamenti dello psicologo e filosofo Paul Watzlawick e della Scuola di Palo Alto. Nel lontano 1967, Watzlawick pubblicò insieme a Janet Helmick Beavin e Don D. Jackson “La pragmatica della comunicazione umana”, un testo ancora fondamentale. In particolare, va ricordato quello che veniva considerato come il primo assioma della comunicazione: “E' impossibile non comunicare”. L'influenza di questo approccio ha cambiato in maniera significativa le scienze umane, ad esempio facendo capire come anche nel silenzio più ostinato e persino nell'autismo vi sia un'intenzione comunicativa: quella di sottrarsi al confronto. Non meno rilevanti sono le applicazioni alla comunicazione aziendale, a partire dalle considerazioni operative più banali. Pensiamo ad esempio ai tagli alla comunicazione dai quali qualunque manager parte, quando ha problemi di budget: si tratta di un grave errore, perché non comunicare è impossibile e in casi del genere si comunica la propria assenza. O comunque il disinteresse nei confronti dei clienti e del mercato.
 

Come assumere il controllo del news flow

 

Ad un livello più strutturato – e ovviamente in seguito all'esplosione dell'infodemia – le aziende si sono trovate costrette a trasformarsi in media company proprio per avere un maggiore controllo sulla propria reputazione, che spesso vale anche di più del prodotto proposto. Ci sono però diversi modi per farlo. Le aziende di grosse dimensioni sempre più spesso assumono giornalisti (singoli o in staff) nel loro organico: la ricerca dell’Osservatorio Brand Reporter Lab del 2019 sulle 150 aziende più importanti in Italia ha rivelato che il 64% possiede almeno un canale editoriale a scopo informativo. Se strutturarsi in questo modo serve certamente a fortificare il senso di appartenenza, in molti altri casi risulta altrettanto efficace rivolgersi ad agenzie di comunicazione o media che sappiano utilizzare al meglio il brand journalism.

Il brand journalism non è pubblicità

Il brand journalism consiste nell'utilizzo delle tecniche giornalistiche per divulgare contenuti aziendali. Un grave errore consiste nel confonderlo con il native advertising o con i publiredazionali (volgarmente detti “marchette”), che hanno una finalità pubblicitaria. Il brand journalism invece utilizza lo specifico della professione, a partire dalla regola delle “5 W”: What – Che cosa, Who – Chi, Where – Dove, When – Quando, Why – Perché. Lo scopo è divulgare, con formati multimediali e al passo coi tempi, contenuti con piena dignità giornalistica, dei quali le aziende possono essere fonti inesauribili. Basti pensare, per esempio, al settore farmaceutico, spesso raccontato con un forte accento sulla ricerca del business, quando invece ha al suo interno fondamentali valori legati alla ricerca e alla coesione sociale. In un'era nella quale i media hanno meno risorse per raccontare alcuni aspetti della realtà, un efficace utilizzo del brand journalism non corrisponde certo a fare “giornalismo di Serie B”, ma, al contrario, ad innalzare al massimo il valore dell'informazione e quindi anche della democrazia (se ci consentite un filo di enfasi).

La case-history di “Corporate”

Dalle considerazioni sopraesposte nasce “Corporate – Il giornale delle imprese”, un progetto che affaritaliani.it ha lanciato la scorsa primavera. Partendo da una consolidata expertise legata ai “progetti editoriali speciali”, la naturale evoluzione è stata il varo di una sorta di “inserto”, con un'ampia vetrina in home page, per sottolineare l'importanza strategica e contenutistica del progetto. Se ormai qualunque testata online pubblica paid content, spesso con diciture semiinvisibili, quasi con malcelata vergogna, affaritaliani.it ha voluto invece dare il massimo risalto al prodotto giornalistico che nasce in collaborazione con le aziende-partner, separandolo dagli altri contenuti per correttezza verso il lettore, ma nel contempo evidenziandolo come contenuto in se' meritevole di lettura. Se in molti casi chi si definisce “brand journalist” non fa altro che riprendere comunicati stampa che hanno una finalità pubblicitaria nemmeno troppo velata, lo scopo di “Corporate” consiste invece nella pubblicazione di un vero e proprio giornale, con una sua linea editoriale, aree di interesse e approfondimenti indipendenti dall'agenda comunicativa delle aziende. Nel contesto di una testata – la prima online del giornalismo italiano – che fin dal 1996 ha avuto l'economia come un suo fiore all'occhiello, il progetto nei suoi primi sei mesi ha dato risultati eclatanti, con una crescita a tre cifre che ha permesso di centrare gli obiettivi del 2021 con largo anticipo sulla tabella di marcia. E nel 2022 l'obiettivo è crescere ulteriormente, come dimostra il fatto che, in assoluta controtendenza col mercato, abbiamo aperto delle selezioni per rafforzare sia la redazione giornalistica, sia quella di “Corporate” che si dedica al brand journalism. 

 

 

*vicedirettore di affaritaliani.it e in precedenza, tra l'altro, conduttore di "Brand Journalism" su Radio Lombardia