Cyber attacchi, Italia sempre più vittima: Pa e strutture sanitarie nel mirino

I dati del rapporto degli 007 italiani, riguardante le attività di hacking nel nostro Paese

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Cyber attacchi, l'Italia nel mirino degli hacker: Pubblica amministrazione, infrastrutture IT e strutture sanitarie in pericolo

La minaccia informatica fa sempre più paura. Il cyberspazio può dischiudere “straordinarie possibilità di progresso” ma anche “esporre a pericoli potenzialmente rovinosi per la tenuta del Sistema Paese”. E' l’allarme lanciato dagli 007 italiani nella Relazione annuale dell'intelligence (disponibile online), che come sempre fa il punto anche su terrorismo interno e internazionale, immigrazione, criminalità organizzata. Con un focus sugli scenari di crisi a livello internazionale. 

Come riporta l’Agi, le attività cyber ostili effettuate contro assetti informatici rilevanti per la sicurezza nazionale hanno continuato a interessare prevalentemente le infrastrutture informatiche della pubblica amministrazione (69%): gli attacchi ad obiettivi pubblici hanno riguardato per lo più amministrazioni centrali dello Stato (56%, valore in aumento di oltre 18 punti percentuali rispetto all’anno precedente) e infrastrutture IT riferibili a enti locali e strutture sanitarie (per un complessivo 30% sul totale).

Mentre gli attacchi nei confronti dei soggetti privati hanno interessato prevalentemente il settore energetico (24%, in sensibile incremento rispetto allo scorso anno), quello dei trasporti (18%, in aumento di 16 punti percentuali) e quello delle telecomunicazioni (12%, in crescita di 10 punti percentuali rispetto al 2020)". In sensibile calo le attività di matrice “hacktivista” rispetto all’anno precedente (23% del totale), mentre una "sensibile crescita" (18 punti percentuali) si è registrata "con riferimento alle azioni di matrice statuale, che si sono attestate al 23% del totale".

A livello globale e regionale, spiegano gli analisti del Dis, sia al Qaeda che Daesh “hanno proseguito nella riorganizzazione dei rispettivi assetti che, in entrambi i casi, ha portato a una decentralizzazione delle strutture di comando e controllo". In Europa, la dinamica degli attacchi di matrice jihadista conferma “la perdurante esposizione alla minaccia posta da quanti si mobilitano autonomamente per contribuire al jihad globale". A preoccupare, in prospettiva, sono soprattutto i giovani homegrown che, soli davanti ai loro pc, “consumano propaganda, reperiscono ‘guide’ per l’auto-addestramento con finalità offensive e intessono rapporti con correligionari di analogo orientamento".

Sul fronte italiano, il rischio più concreto continua ad essere legato ai foreign fighters “intenzionati a rientrare sul territorio nazionale, sia pure in stato di arresto o sotto falso nome, sfruttando anche circuiti criminali dediti all’immigrazione irregolare". Il nostro Paese ha sempre un ruolo di primo piano nella galassia mediatica jihadista: si ripetono le minacce "a simboli nazionali, come la bandiera e il Colosseo, e a luoghi o personaggi simbolo della cristianità, quali piazza San Pietro e il Pontefice". E viene ribadita ad ogni occasione utile la promessa di “conquistare Roma".

Sul fronte dell’eversione interna, i pericoli maggiori restano quelli incarnati dalle frange anarco-insurrezionaliste, pronte “a mobilitarsi su un doppio livello, che prevede un attivismo tanto di caratura ‘movimentista’ inteso a infiltrare le manifestazioni, quanto di più marcata valenza terroristica con il compimento della tipica ‘azione diretta distruttiva’ contro diversi target, correlati ad altrettante varie campagne di lotta".

Quanto alla destra radicale, nell'ultimo anno "il tratto più qualificante è stato correlato all’opera di strumentalizzazione del dissenso all’insegna dell’opposizione alla cosiddetta ‘dittatura sanitaria’ con l’intento d’innalzarne il livello di conflittualità” (vedi l’assalto alla Cgil). Le preoccupazioni maggiori sembrano derivare però “dalla diffusione online di ideologie neonaziste e suprematiste, che istigano a porre in essere atti violenti e indiscriminati motivati dall’odio razziale”: la paura è che possa concretizzarsi la transizione dalla minaccia all’azione.

Cresce l’immigrazione irregolare, ‘trainata’ da “instabilità politica, conflitti armati, incremento demografico, cambiamenti climatici, precarie condizioni socio-economiche ed effetti della crisi sanitaria da Covid-19”. E dal monitoraggio delle principali direttrici dei flussi migratori emerge il sempre maggiore coinvolgimento dei network criminali presenti in maniera capillare nelle principali aree interessate dal fenomeno”, con “sinergie operative” tra gruppi libici, formazioni tunisine ed “espressioni criminali dei Paesi di provenienza".

In ‘salute’ si confermano anche 'ndrangheta, cosa nostra, camorra e criminalità organizzata pugliese, capaci di “adeguare organizzazione interna e modus operandi all’azione di contrasto”. E di concentrare gli sforzi nel tentativo di cogliere “le opportunità di business legate sia agli effetti della crisi sanitaria che alle prospettive di ripresa post-pandemica, grazie ai cospicui flussi finanziari legati al Pnrr".

Il momento chiave è datato luglio 2021, quando la Federazione Russa adotta “una nuova strategia di sicurezza”, delineando “la visione di un mondo in trasformazione, nel quale l’uso della forza è una minaccia crescente”. “E’ nello spazio post-sovietico – scrivono gli esperti dei nostri Servizi - che si è intensificata la volontà russa di riaffermare la propria primazia, considerando le Repubbliche ex sovietiche come il perimetro minimo di sicurezza che garantisce profondità strategica all’azione esterna di Mosca e alla sua volontà di essere riconosciuta fra le grandi potenze mondiali”.

 

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