Forbes, il direttore: "E' il magazine del capitalismo democratico". Intervista
Alessandro Rossi, alla direzione dell'edizione italiana di Forbes, fondatore ed ex direttore di Bloomberg Investimenti
Ha lanciato 11 start up nell’editoria, scrive libri gialli comici con il macellaio Dario Cecchini.
I RICORDI: l’ ”Unita”, poi “Class”, “Milano Finanza”, “Italia Oggi”, “Bloomberg” e oggi ci parla di Forbes Italia. L’evento del 15 settembre al Four Seasons di Firenze: “forse il più importante insieme al Private Banking Award”.
IL GRUPPO BFC MEDIA: Otto magazine, quattro siti, milioni di visitatori, newletters quotidiane, 200 mila iscritti, due tv, accordi con Amazon, Samsung, Huawei, Twitter. A ottobre il lancio dell’edizione italiana di Robb Report, il magazine mondiale del lusso per antonomasia.
Da buon toscano, Alessandro Rossi, ha sempre la battuta pronta. Per esempio a chi gli chiede se parla inglese, risponde con un sorriso “like a spanish cow”. Sarà. Intanto però è l’unico giornalista italiano ad aver portato nel nostro Paese due colossi Usa dell’informazione come Bloomberg e Forbes. E senza mai avere dietro i grandi gruppi dell’editoria italiana. Per creare Bloomberg Investimenti nel 1998 ha fondato una società con Rolando Polli, altri soci italiani e Mike Bloomberg. Per Forbes invece il grimaldello è stata BFC Media, la società fondata dall’amico Denis Masetti e quotata alla Borsa di Milano, all’Aim, di cui è socio da molti anni. Oggi Alessandro dirige, con successo, l’edizione italiana di Forbes ed è uno dei manager di punta di BFC Media. Ha cominciato da molto lontano, da Siena, dove è nato nella contrada dell’Onda, e dove ha mosso i primi passi professionali al settimanale Nuovo Corriere Senese, prima di passare alla redazione toscana de l’Unità e poi a Milano, nel 1986, per fondare Milano Finanza con il nascente Gruppo Class Editori. Da lì, piano piano, Alessandro ha costruito la sua carriera, passando per Repubblica, poi tornando al gruppo Class fino a incontrare, 13 anni dopo, Mike Bloomberg. Ecco che cosa ci ha detto.
Alessandro, che cosa si porta con sé di quel periodo a l’Unità e la Repubblica?
Sono stati periodi completamente diversi. Alla redazione regionale toscana de l’Unità sono stato assunto nel 1980 dove ho fatto il praticantato e sono diventato professionista. E’ stata una scuola professionale di altissimo livello: ho avuto colleghi come Gabriele Capelli e Renzo Cassigoli, persone integerrime, di grande professionalità, cultura e umanità. I miei direttori si chiamavano Claudio Petruccioli e Emanuele Macaluso: credo, come si dice, che basti la parola. Sono molto legato a quel periodo, perché ero giovane e poi perché lì ho incontrato mia moglie Daniela. A Repubblica invece è stata una parentesi. Mi vollero fortemente Scalfari e Pansa che, dissero, erano stati fulminati da un mio pezzo su Milano Finanza sulla guerra del Credito Romagnolo tra gli schieramenti guidati da Agnelli e da De Benedetti. Era il 1988, arrivai in carrozza, ma le grandi strutture non fanno per me. Troppo impersonali, si perde troppo tempo a parlar male dei colleghi. Dopo un anno alla redazione economica di Milano tornai a Milano Finanza per fondare Mf. Meglio re nell’orto che ortolano nel regno.
Cofondatore di importanti realtà editoriali come “Bloomberg Investimenti”, “Milano Finanza” e “Italia Oggi”. Giornalista di lunga data ma anche e soprattutto “creatore” di magazine di indiscusso spessore.
Diciamo che ho una passione per le start up e le piccole case editrici dove la gente si conosce tutta e ci si può guardare negli occhi. Ho avviato 11 nuove iniziative tra quotidiani, settimanali, magazine e siti web. L’esperienza più importante è stata quella nel gruppo Class dove sono stato per 13 anni partecipando appunto alla fondazione di Milano Finanza (eravamo in sei ed io ero l’unico professionista in redazione insieme a Massimo Novelli che però se ne andò al secondo numero), poi di Mf e Italia Oggi. Ho ancora delle minuscole partecipazioni azionarie in quei giornali. Lì c’era la figura imperiosa di Paolo Panerai, un talento straordinario, un uomo difficile, ma sicuramente unico. A lui devo moltissimo. Nella sua bottega ha forgiato alcuni dei migliori giornalisti italiani. Compreso il vostro direttore con cui ho lavorato assieme per un paio d’anni. Poi un giorno mi chiamò Michael Bloomberg perché voleva fare un giornale in Italia e alcuni amici comuni gli avevano parlato di me. Insieme a Rolando Polli, director di Mc Kinsey, mettemmo assieme una squadra di azionisti di tutto rispetto, mentre Mike tenne per sé il 50%. Paolo si arrabbiò tantissimo anche perché credo che mi considerasse quasi un figlio adottivo, una sua creatura. Dicono che non me l’abbia ancora perdonata. Ma secondo me fa finta. Con Bloomberg sono stati quattro anni strepitosi fino alla bolla dei titoli tech e alle torri gemelle.
Certo, da l’Unità a Bloomberg e Forbes il passo è lungo…
Meno di quanto sembri. Almeno per me. Intanto perché sono un professionista e poi perché la politica ormai mi interessa molto poco. Ma soprattutto perché mi sono sempre ispirato a Romano Bilenchi, senese anche lui, di Cole Val d’Elsa, che con il suo Nuovo Corriere aveva dato esempio che è possibile pubblicare un giornale con opinioni libere e indipendenti. Il Nuovo Corriere era finanziato dal Pci che lo chiuse dopo la rivolta degli operai di Poznan del 1956 proprio perché ospitava opinioni dei grandi liberali e cattolici del tempo da La Pira a Ungaretti a Anna Banti e prese una posizione allora considerata scomoda. Cos’è, in fondo, Forbes, almeno il mio, se non un magazine del capitalismo democratico che celebra il successo e non la ricchezza e valorizza chi restituisce parte della sua fortuna ai suoi collaboratori o ai meno fortunati?
Come nasce la passione di mettersi in gioco anche nei piani dirigenziali?
E’ sempre stata una scommessa con me stesso, riuscire a costruire qualcosa e a governarla. Sono un leader per caso, uno che è arrivato dove è arrivato da solo, senza padrini, con molta fatica, ma sempre con fermi principi morali e professionali. E tanto lavoro. Se fossi stato più accondiscendente (credo che il termine esatto sia paraculo) forse avrei potuto fare una carriera ancora più importante. Ma a me basta quello che sono. Se penso da dove sono partito.
Attuale direttore responsabile dell’edizione italiana di “Forbes” e direttore editoriale della casa editrice BFC Media. Correva l’anno? Quando parte l’idea e come si è sviluppata nel corso del tempo? Oggi, ricordiamolo, è un magazine molto seguito e apprezzata soprattutto nel mondo dell’economia, del management e dell’imprenditoria.
BFC Media è nata nel 1995 per iniziativa di Denis Masetti. Lui sì che è un manager vero, strutturato, coraggioso e anche visionario. Io sono più concreto, operativo e anche creativo. Ci integriamo e intendiamo alla perfezione. Siamo amici proprio da quegli anni e abbiamo fatto un lungo percorso insieme. L’anno di svolta è stato il 2015 quando ci siamo quotati con 1,6 milioni di fatturato: oggi viaggiamo vicino ai 15 milioni, quasi 10 volte in sei anni. E’ chiaro che l’arrivo di Forbes ci ha dato una grossa mano, ma anche noi ci abbiamo messo del nostro. Intanto abbiamo posizionato il giornale non improntandolo sulle storie dei miliardari ma su quelle di successo. Il successo piace a chi lo racconta e a chi lo legge. E poi è democratico: tutti possono avere successo indipendentemente dai risultati economici. Oggi apparire su Forbes significa acquisire reputazione, affidabilità, credibilità per la propria azienda. Ma poi c’è tutto il resto: otto magazine complessivi, quattro siti con milioni di visitatori, newletters quotidiane per oltre 200 mila iscritti, due tv (Bike con la nuovissima tecnologia Hbb tv e Bfc sul 511 di Sky), accordi per i contenuti con i più grandi player del mondo da Amazon a Samsung, da Huawei a Twitter. E a ottobre lanceremo l’edizione italiana di Robb Report, il magazine mondiale del lusso per antonomasia.
C’è soddisfazione nel suo staff?
Direi che il più soddisfatto sono io. Ma credo anche loro. C’è entusiasmo e orgoglio: firmare su Forbes a 30 anni non capita proprio a tutti. La redazione è molto giovane, ma è una caratteristica di tutta la nostra azienda. Lavorano sodo con grande passione e molta professionalità. Siamo bravi anche a dare il giusto peso alle cose: non mancano le occasioni per scherzare, divertirci, fare gruppo. Dopo, però, tutti al pezzo…
Sono ormai in voga anche da noi (come negli Usa), le famose liste top women e men. Esserci è simbolo indiscusso di successo. Su quali criteri giudicate i vari soggetti?
Vengono scelti dalla redazione sulla base di informazioni che raccogliamo tutto l’anno. Per esempio sulla lista degli Under 30 2022, in uscita ad aprile prossimo, stiamo lavorando su centinaia di profili giunti in redazione o da noi individuati, sin dal maggio 2021. E così per le altre liste. Il difficile è trovare ogni anno cento nomi nuovi per ogni elenco.
(Segue...)
Se le diciamo Dario Cecchini lei cosa ci risponde?
Un grande, grandissimo amico. E’ il macellaio più famoso al mondo. Ma è anche molto umile. Ha ristoranti a Dubai, Bahamas, Bolgheri e presto ad Erbusco ma torna sempre a casa, a Panzano in Chianti. Sa vivere e sa ridere. Abbiamo molte cose in comune e soprattutto abbiamo fondato la Libera Università della Nobile Arte del Cazzeggio dove noi due siamo docenti e discenti. E’ un modo come un altro per non prenderci troppo sul serio e ricordarci sempre da dove veniamo. Insieme abbiamo scritto anche un libro per Giunti, è un giallo, un giallo tutto da ridere ambientato nel paesino di Panzano in Chianti con personaggi reali. Per capirlo basta leggere il titolo: “Il mistero della finocchiona a pedali”. Ad aprile ne uscirà un altro.
Come si struttura il suo lavoro. Roma, Milano, il Chianti? Riesce a coniugare affetti, impegni e dirigenza?
Vivo in campagna a Panzano in Chianti da diversi anni dove avevo comprato una casa durante la mia parentesi milanese quasi ventennale. Non è lontana da Firenze dove c’è sempre un treno che in un paio d’ore al massimo mi collega con Milano o Roma. Vivo la mia vita con molta intensità e trovo il tempo per tutto e tutti, anche per la mia nipotina Giorgia e il mio cane Viola che riesco a portare a caccia (o forse è lei che porta me).
Come “Forbes” fate anche eventi annuali dedicati ai vari settori. Cosa c’è in programma per i prossimi mesi? Al Firenze Four Seasons ci sarà un incontro con le piccole e medie imprese. Ci spiega meglio?
Facciamo oltre 100 eventi all’anno tra virtuali e fisici. Quello di Firenze è uno di questi, forse il più importante insieme al Private Banking Award. E’ nato quattro anni fa ed ha un successo di partecipanti straordinario. Quest’anno è dedicato alle pmi e sarà il kick off di un grande progetto di Forbes su quelle aziende che abbiamo chiamato Piccoli Giganti del Made in Italy.
Ora andiamo al Covid-19. Pandemia devastante. Ci vuol raccontare anche a livello personale come ha vissuto questo dramma globale e quanto le sue aziende hanno risentito del fermo dovuto al lockdown? Il settore ne ha sofferto?
Abito in aperta campagna e il primo lockdown è stata un’occasione per stare un po’ più a casa. Personalmente non ho avuto grossi problemi anche se ho lavorato tantissimo da remoto. Come azienda abbiamo utilizzato quel periodo per lavorare a nuovi progetti. È stato proprio durante il lockdown che è nata l’idea di lanciare la tv e il magazine Bike dedicato a chi ama vivere in movimento e poi di acquistare il trisettimanale Trotto&Turf, il giornale degli appassionati di cavalli. Nel 2020 il fatturato di BFC Media è salito del 40% rispetto all’anno precedente.
Vaccini sì vaccini no, green pass sì green pass no. Qual è il suo pensiero?
Sono vaccinato. Senza se e senza ma. Il green pass è utile anche se non decisivo perché il contagio è subdolo. Però dà un minimo di garanzia di sicurezza. Ed oggi è quello che tutti cerchiamo.
Ultima a conclusione. Vuole ringraziare qualcuno in particolare per i suoi 40 anni di onorata carriera?
Di solito si ringraziano sempre le mogli. E io sono riconoscente a mia moglie Daniela che ha avuto una gran pazienza e comprensione. Professionalmente sono legato a tutti coloro che mi hanno dato molto ricevendo in cambio solo professionalità, disponibilità e, in qualche caso, amicizia. Quindi sono molto grato, come dicevo, a Gabriele Capelli e Renzo Cassigoli, ma anche a Denis Masetti, Paolo Panerai, Eugenio Scalfari, Mike Bloomberg e Maurizio Boldrini, oggi professore di Scienze della comunicazione all’Università di Siena, che è stato il mio primo maestro.