Gedi, "tanto non possono arrivare a noi, non hanno le prove". Intercettazioni

L’inchiesta sui prepensionamenti illeciti del gruppo che edita “Repubblica”. I vertici sapevano, Mondardini: "Evito di parlare al telefono"

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Gedi, i vertici sapevano di essere intercettati. Ma non hanno smesso

Emergono nuovi retroscena sull'inchiesta che ha travolto Gedi, il gruppo editoriale di "Repubblica" che dal 2019 è di proprietà della famiglia Agnelli e che in precedenza apparteneva ai De Benedetti. L'inchiesta per truffa aggravata allo Stato per i prepensionamenti di un'ottantina di dipendenti prosegue e tra i 101 indagati c'è anche l'ex ad Monica Mondardini. Le prime acquisizioni degli inquirenti - si legge sul Fatto Quotidiano - risalgono a marzo 2018. Il 12 luglio di quell'anno, a cena anche con l’ex direttore Ezio Mauro (estraneo all’indagine), Mondardini racconta di aver scoperto che i trasferimenti "sono stati comunicati agli interessati" i quali “non hanno mai risposto, né mai posto obiezioni".

Per i magistrati - prosegue il Fatto - è un'ammissione implicita "che i trasferimenti erano solo sulla carta". Dal decreto di sequestro del gip Fanelli emerge anche il timore delle intercettazioni: in una successiva conversazione. Mondardini “ribadisce di non voler parlare liberamente al telefono per paura di essere interce ttata”, e dice: “Faccio attenzione (...) dal 2010... quando ci fu la questione di Berlusconi, siccome (...) ci sentivamo quasi quotidianamente, io subito ho avuto l’idea”. “Loro oggi possono avere le prove della truffa (...) consumata solo relativa al dipendente Inps... a noi dovrebbero arrivare (…) per induzione, ma a quel punto (…) non è una prova”. Da questa frase, pronunciata da Monica Mondardini il 13 settembre 2018 in un ristorante romano, per la Procura di Roma emerge che l’allora ad di Gedi Spa stesse “cercando di capire quali fossero le imputazioni ascrivibili all'azienda”.

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