"Lucarelli? Gli influencer possono essere pericolosi, ha delle responsabilità"

Interpellata sulla morte di Giovanna Pedretti, la giornalista Candida Morvillo spiega il ruolo degli influencer e la responsabilità dell'informazione digitale

di Lorenzo Goj
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Selvaggia Lucarelli e Candida Morvillo
MediaTech

Candida Morvillo: "Noi giornalisti dovremmo tirar fuori il buono dalle persone, non il peggio. Le cose devono cambiare"

La morte della ristoratrice Giovanna Pedretti ha messo in chiara luce le possibili conseguenze di diventare una “star” dei social. Vista prima come una sorta di “paladina della giustizia” per aver risposto a tono a un cliente omofobo (il tutto pubblicato su Facebook), la donna è finita per essere considerata una “truffatrice” dopo le accuse, ben corredate da prove, di Lorenzo Biagiarelli e Selvaggia Lucarelli sulla presunta falsità del suddetto post.

Così, dopo un “aggressivo” servizio del Tg3 finito in Commissione di Vigilanza Rai in cui veniva chiesto alla donna conto delle accuse fatte dai due influencer, la stessa è stata trovata morta la scorsa domenica mattina. Ora, davanti alla tragedia, viene spontaneo chiedersi non solo cosa sia successo a Giovanna Pedretti, ma che peso abbia avuto la tempesta mediatica in tutto questo. Per provare a capirne di più, Affaritaliani.it ne ha parlato con la giornalista e scrittrice Candida Morvillo.

Biagiarelli, poi ripreso da Selvaggia Lucarelli, è stato il primo a “far emergere” la presunta falsità del post pubblicato su Facebook. Quanto sono coinvolti nella tragedia i due "influencer"?

“Innanzitutto, Biagiarelli e Lucarelli rivendicano di aver fatto debunking, sostenendo la totale falsità del post pubblicato da Pedretti. In realtà, come non è stato ancora confermato che si tratta di un suicidio, non è ancora certo che il post sia davvero un falso.

Dunque, nel momento in cui costruisci una community molto numerosa di follower che ogni giorno ti cerca per trovare ‘la vittima del giorno’, se dai in pasto alla ‘folla’ questo tipo di storia è chiaro che una responsabilità ce l’hai. Per questo, a maggior ragione, conoscendo il proprio pubblico non esattamente ‘tenero’, avrebbero dovuto fare molta più attenzione”.

Nonostante Biagiarelli non sia un giornalista ma uno chef, Selvaggia Lucarelli non ha semplicemente fatto il suo lavoro?

“In realtà neanche Selvaggia Lucarelli è una giornalista, dato che non è iscritta all’Ordine. Comunque, la questione non è chi si sia messo a investigare. Ciò che dovrebbe interessare è che il frutto di questa ‘indagine’ è stato propinato come una verità assoluta. Io avrei usato molto di più il condizionale per trattare la vicenda…".

Gli influencer possono essere pericolosi?

“Non si deve generalizzare, ma tanti casi di cronaca conducono verso questa direzione. Nel momento in cui un influencer espone un tema al suo pubblico come se stesse lanciando un osso ai cani, allora in quel momento diventa pericoloso”.

Cosa possiamo imparare da questa tragedia per migliorare il mondo dell’informazione?

“Noi giornalisti abbiamo l’importante responsabilità di verificare sempre le notizie. Un’autocritica alla nostra professione è sicuramente quella di dover accertarsi di più di quello di cui si sta parlando. Poi,  si dovrebbe rivedere il modo in cui raccontiamo le polemiche social. Si tende, infatti, a raccontarle prescindendo dalla verità oggettiva e a rincorrerle per un semplice motivo: perché ottengono molto spesso clic e audience. Su questo fronte dovremmo avere qualche attenzione in più, senza alimentare i lati peggiori delle persone. E questo, naturalmente, vale anche per gli influencer.

Guardando invece l'aspetto sociologico della vicenda, questa tragedia ci insegna che esiste una società basata sul giudizio e sulla critica facile che spesso prescinde dai fatti. Stiamo parlando di esseri umani e ciò che sta succedendo con la comunicazione digitale è una vera e propria disumanizzazione. Dilagante, aggiungerei. Oggi, molti definiscono la propria identità attaccando gli altri. Non è quanto odiamo o qualcuno giudichiamo qualcuno a definirci, ma è ciò che facciamo di buono. Dovremmo ricordarci i veri valori della vita.

In definitiva, il mondo dell'informazione dovrebbe smettere di fare leva sull’odio, sulla negatività, sulle incertezze e sull'aggressività, ma dovrebbe invece alimentare nelle persone la speranza e la bellezza della vita. La vera responsabilità di noi professionisti della comunicazione dovrebbe essere questa, ovvero cercare consenso senza tirar fuori il peggio delle persone".

È come se ci fossimo tutti incattiviti…

“La parola chiave dell’intero decennio dovrebbe essere ‘frustrazione’. Le persone sono sempre più frustrate e, di certo, questi tempi di incertezza economica e politica non aiutano. La mancanza di un orizzonte di speranza e realizzazione personale ha portato tanta negatività nella gente, che pian piano si trasforma in aggressività verso gli altri".