Marco Travaglio, il finto sinistro. Conservatore di destra e liberale
Quando Berlusconi lo allontanò da Il Giornale, insieme a Montanelli, si riciclò con Repubblica e l’Unità
Travaglio ha sempre fatto quello che più gli conveniva dal punto di vista economico, arrivando addirittura a passare alla sponda opposta
La scomparsa di Silvio Berlusconi ha dato adito a Marco Travaglio di giocare la sua parte preferita e cioè quella dell’antiberlusconismo militante che è un po’ il vero logo, la ragione stessa di esistere de Il Fatto Quotidiano e, se vogliamo, anche dei Cinque Stelle.
Senza il Cavaliere non ci sarebbero stati Travaglio e Grillo.
Dunque non ci soffermiamo più di tanto nelle contumelie che le ghiandole velenifere del giornalista hanno abbondantemente lanciato nei confronti del Cavaliere, le accenniamo appena. Alcune sono così luride da non potersi riprodurre in fascia protetta e così ci accontentiamo di quelle riportabili.
“Lutto nazionale? C’è di peggio, sette giorni di lutto parlamentare! Impazzimento collettivo!”.
“Una giornata imbarazzante di beatificazione che ha tralasciato la realtà”.
“Il porco è diventato bello” (sic).
“La Repubblica del Banana”.
“Non c’è nessuno che dice che è un pregiudicato”.
Il livello è da porcilaia (nel senso letterale del termine), adatto ai suoi lettori populisti.
Ma perché Travaglio ce l’ha tanto con Berlusconi?
Motivi ideali? Niente affatto, anzi. I due la pensavano esattamente allo stesso modo.
Si tratta solo di motivi personali.
Per cercare di capire dobbiamo risalire alla biografia del giornalista.
Travaglio nasce a Torino nel 1964 e si diploma al liceo classico dei salesiani, lo stesso ordine religioso che per una coincidenza del destino è quello dove ha studiato Berlusconi.
La sua è una piccola borghesia gianduiotta, solo che il Cavaliere ha preso 60/60 mentre il giornalista solo 58/60. Un po’ asinello.
Il padre geometra disegna treni per la Fiat.
Si laurea tardi, a 32 anni, in lettere moderne con una tesi di storia contemporanea, dopo essere diventato già giornalista collaborando con quotidiani in area cattolica, come Il nostro tempo,
Qui conosce lo scrittore e giornalista Giovanni Arpino che lo presenta a Indro Montanelli che nel 1987 lo chiama a Il Giornale, il quotidiano conservatore fondato dallo stesso Montanelli nel 1974 a Milano, dopo essere uscito dal Corriere della Sera a causa del suo spostamento a sinistra.
Travaglio è un conservatore di destra, un liberale ottocentesco puntuto, acido e irascibile.
Nel 1992 cominciò a flirtare con Repubblica che Travaglio utilizzò per fare pressione su Montanelli ed essere così assunto a Il Giornale e così fu, dopo una memorabile scenata in redazione. In seguito Travaglio confermerà che stava per entrare in Repubblica sebbene non condividesse la sua linea a sinistra ma che Montanelli non voleva prenderlo e così forzò la vicenda. Insomma, come si vede, una storia di Grandi Ideali.
Vittorio Feltri si è spesso scontrato con Travaglio su questa vicenda accusandolo di opportunismo.
Nel 1994 Travaglio lasciò Il Giornale e seguì Montanelli a La Voce e lì conobbe Enzo Biagi che lo fece collaborare al programma televisivo Il Fatto su Rai Uno che ispirò poi la denominazione de Il Fatto Quotidiano ed anche il suo logo fatto dallo strillone stilizzato.
Il punto chiave della vicenda è proprio questo.
Travaglio lascia Il Giornale perché Montanelli litiga con Berlusconi, dopo che Travaglio aveva a sua volta litigato con Montanelli per farsi assumere.
Prima di questo evento Travaglio è un amorevole e devotissimo ammiratore del Cavaliere che gli consente di sbarcare il lunario.
Poi, quando avviene il fattaccio, Berlusconi diviene la somma di tutti i mali, la sentina della melma del mondo.
E si consideri che il Cavaliere era allora considerato da Travaglio il paladino del conservatorismo contro la sinistra, insomma il suo idolo.
Questo però non gli impedirà, chiusa La Voce nel 1995, di essere addirittura assunto nel 1998 a all’odiata Repubblica come cronista giudiziario.
Dal 2002 lo troviamo poi il destro Travaglio addirittura a l’Unità, dove rimarrà fino al 2009, anno in cui fonda Il Fatto Quotidiano. Quando si dice la coerenza. Il resto storia recente, cioè cronaca.
Insomma, quello che emerge dalla sua carriera giornalistica è che Travaglio ha sempre fatto quello che più gli conveniva dal punto di vista economico, arrivando addirittura a passare alla sponda opposta.
Lui, uomo di destra, ha scritto per Repubblica e l’Unità, i baluardi estremi della sinistra italiana.
Ma il tutto origina, lo ripetiamo, dalla rottura tra Montanelli e Berlusconi.
La stessa vicenda di Vittorio Feltri che però seguì, coerentemente, il Cavaliere e non Montanelli.
Chi non sa questa storia pensa ingenuamente ad un Travaglio di sinistra giustizialista, ma Travaglio è solo uno che ha cambiato casacca ideologica per convenienza.
Il giornalista torinese giurò al Cavaliere di fargliela pagare quella uscita da Il Giornale a seguito di Montanelli.
Altro che motivi ideali, altro che lotta al Caimano. Travaglio ha condotto e conduce ancora adesso solo una battaglia personale contro chi gli aveva fatto perdere il lavoro e paradossalmente glielo ha fatto riperdere di nuovo con la sua scomparsa.
Perché Travaglio senza Berlusconi è il niente.
Ha cercato bersagli alternativi, come Matteo Renzi, ma solo l’odio atavico per chi lo costrinse a lasciare Il Giornale ha potuto fornire il carburante al suo veleno.