Nessun sostegno a Trump e Harris, Washington Post da applausi (per ora). Ma occhio a non tradire i lettori
Non sostenere nessuno dei due candidati è un ossequio alla tradizione dei giornali britannici di non essere vicini al potere, ma...
Donald Trump - Kamala Harris
Washington Post da applausi (per ora) per il mancato endorsment ai candidati alla Casa Bianca. Ma occhio a non tradire la fiducia dei lettori
Per un uomo con un patrimonio da oltre 200 miliardi di dollari, capace di inventarsi letteralmente il più grande magazzino del mondo, secondo datore di lavoro negli USA, perdere 200mila abbonati al suo giornale è, tutto sommato, un piccolo fastidio, una lieve puntura d’insetto.
I fatti brevemente: il Washington Post ha deciso di non sostenere (gli americani dicono “endorsare”) nessuno dei due candidati per la corsa alla presidenza USA. E i lettori, indignati, hanno disdetto l’abbonamento. Ma è giusta la mossa degli aficionados o quella dell’editore? Proviamo a dividere il discorso in due parti.
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The Donald è una macchietta, una figura da fumetto più che un credibile candidato nella corsa alle presidenziali americane. Ma il sistema democratico ha sancito che si, il tycoon ha tutto il diritto di provare a tornare alla Casa Bianca. E dunque, pur sapendo che cosa potrebbe aspettare gli USA per i prossimi quattro anni (ci sono già passati), milioni di elettori sceglieranno ancora lui.
Il Washington Post, che non è un giornale di opinione, ma di inchieste, ha dunque scelto di non schierarsi. E l’ha fatto in ossequio a una tradizione, quella dei quotidiani anglosassoni, di non essere vicini al potere, ma di osservarlo, marcarlo a vista, essere “Watch dog”, cane da guardia. Sbagliano? No, è una visione culturale ben diversa, che ha comunque permesso al mondo dei media a stelle e strisce di restare in piedi anche quando in Europa la stampa vacillava.
C’è, dietro la scelta del Washington Post, un pragmatismo che ricorda quello dell’icona della NBA Michael Jordan. Il quale, richiesto di schierarsi a favore dei democratici, rispose candidamente che “anche i repubblicani comprano sneakers”, alludendo in questo modo al suo desiderio di non alienarsi una fetta di potenziali clienti delle sue Nike in ossequio alla necessità di schierarsi.
Se il Washington Post ha dunque deciso di non sostenere nessuno dei due candidati, va solo applaudito. Purché questo atteggiamento non si traduca invece in una scelta di comodo: non appoggiare né Kamala né The Donald per avere mani libere dopo il 5 novembre di essere vicino al nuovo presidente. Quella sarebbe una scelta esecrabile che tradirebbe definitivamente il patto di fiducia tra lettori e un giornale che ha poco meno di 150 anni.