Rai, Damilano ci casca ancora: bufera della Dx sull'intervista a Levy
Scoppia la bufera in Rai sul programma dell'ex direttore dell'Espresso Marco Damilano accusato di fare propaganda con i soldi pubblici
L'intervista di Marco Damilano al filosofo francese Bernard Henri Lévy diventa un caso
Marco Damilano ne ha combinata un’altra delle sue. Il sospetto è che stia cominciando a ripagare il “debito di riconoscenza” con chi gli ha salvato il deretano dopo la cacciata da l’Espresso (lui parla di dimissioni) e l’abbandono di Propagandalive.
Ci eravamo già occupati di lui qualche tempo fa (recupera qui il link). E poi quando aveva esordito su Rai3 a 1.000 euro al mese per duecento puntate con un “bottino” di 200.000 euro per una striscia di soli dieci minuti al giorno. Ora la conferma che la trasmissione dell’ex direttore de L’Espresso è partigiana e che è stata utilizzata per fare campagna elettorale a pochi giorni dal voto con i soldi pubblici.
Infatti nella striscia della trasmissione di lunedì scorso, Il Cavallo e la Torre, Damilano ha intervistato il filosofo francese Bernard Henri Lévy che ha approfittato della ghiotta occasione e del particolare posizionamento della messa in onda in prima serata per sparare a zero sul centrodestra. Queste alcune sue dichiarazioni: "Salvini patetico e ridicolo, un personaggio di una debolezza straordinaria". E ancora: "L’Italia è la culla dell’idea repubblicana e merita di meglio di Salvini, Meloni e Berlusconi".
E poi ancora: "Non bisogna rispettare l’elettorato, quando gli elettori portano al potere Mussolini, Hitler o Putin la loro scelta non va rispettata".
Parole in libertà che però hanno provocato le proteste di tutti a cominciare dal sindacato Rai Usigrai, che già aveva criticato la scelta della Rai di affidare la trasmissione ad un esterno come appunto è Damilano dopo aver perso il posto all’Espresso e aver lasciato Propagandalive su La7: "Il pluralismo nel servizio pubblico deve applicarsi anche alle trasmissioni di rete come Il Cavallo e la Torre. E pensare che il conduttore, scelto all'esterno dell'azienda nonostante si potesse contare fra quasi 2000 profili interni, era stato presentato dall'Ad Carlo Fuortes come ‘il giornalista più adeguato’ per ‘informare, intrattenere, fornire strumenti conoscitivi, restando fedeli al sistema di valori aperto e pluralista che il nostro Paese e l'Europa hanno saputo sviluppare in questi decenni’".
Non si è fatta attendere anche la replica del centro – destra. Il senatore di Forza Italia, Alberto Barachini, che è a capo della Commissione di Vigilanza Rai ha dichiarato: "La trasmissione ha rappresentato una palese, plurima violazione della normativa sulla par condicio, in spregio dei basilari principi di pluralismo, imparzialità ed equilibrio che devono orientare il servizio pubblico. Quello del filosofo francese di origini algerine è stato un lungo e violento monologo diretto ad alcuni soggetti politici e un grave attacco contro la democrazia italiana, rappresentata come un Paese esposto a derive autoritarie e anticostituzionali".
In particolare Barachini contesta al filosofo francese che "non solo è stato incapace di arginare la violenza verbale del suo ospite in piena par condicio e di riequilibrare l'evidente faziosità dello stesso, ma ha contribuito alla distorsione del dibattito con la sua premessa e con domande tendenziose".
La replica della Lega è del vicepresidente Lorenzo Fontana: “Pluralismo, imparzialità ed equilibrio del servizio pubblico radiotelevisivo sono stati sfregiati ripetutamente e senza ritegno. Tutto questo, a pochi giorni dal voto. Inaccettabile e imperdonabile in una democrazia", mentre anche Giorgia Meloni ha stigmatizzato il comportamento del filosofo e del giornalista:
"Il servizio pubblico italiano ospita (o paga? La domanda è ufficiale) uno scrittore francese - noto qui per aver difeso il pluriomicida terrorista comunista Cesare Battisti dall'ipotesi di estradizione - per spiegarci in due minuti l'idea di democrazia della sinistra e per paragonare un'Italia a guida centrodestra ai peggiori regimi. Consiglio di ascoltarlo, è illuminante. Se invece non vi va, sintetizzo in poche parole: se gli italiani - votando - scelgono Fratelli d'Italia o la Lega non vanno rispettati. Sipario".
Le richieste di dimissioni –anche per l’a.d. Carlo Fuortes che aveva voluto fortemente il programma- sono fioccate ovunque tanto che Damilano ha capito di averla fatta grossa ed è stato ieri costretto ad un clamoroso dietrofront:
"Ieri il filosofo Bernard-Henri Levy si è lasciato andare ad affermazioni sul pericolo fascista in Italia e sul fatto che il voto del suffragio universale non sempre va rispettato. Da alcune affermazioni ho preso le distanze in diretta, altre non le condivido".
Dunque c’è voluta una sollevazione di scudi generale per costringere a (oltretutto larvate) scuse Damilano che con la prospettiva di perdere cadrega e quattrini ha buttato a mare l’amico filosofo.
Resta il fatto se sia etico e morale pagare 1000 euro a puntata per dieci minuti di radicalchicchismo tartinato e sorbirsi poi le solite tirate a favore dei poveri e degli “ultimi del mondo”.