Come difendersi dalle allergie alimentari. In crescita quelle ai crostacei

Come diagnosticare e come curare questo problema, che colpisce fino al 5% degli adulti e tra il 6 eil 10% dei bambini piccoli

Foto di Nadine Doerlé da Pixabay
Medicina
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Le allergie più frequenti sono quelle ai cibi di origine vegetale

Le allergie alimentari colpiscono fino al 5% della popolazione adulta, mentre hanno una maggiore incidenza nei bambini, pari al 6-10% nei primi anni di vita. Le allergie alimentari sono legate ad una reazione immunologica verso proteine contenute negli alimenti chiamate allergeni. Nell’adulto l’allergia alimentare più frequente (il 72% delle allergie alimentari primarie in Italia) è dovuta all’assunzione di cibi di origine vegetale come, ad esempio, frutti della famiglia delle Rosaceae, soia, arachide, grano, frutta a guscio, sesamo.  

Le più frequenti reazioni ad alimenti di origine animale sono, nei bambini, quelle a latte e uova, mentre nell’adulto la forma più frequente è quella verso i crostacei, più raramente a pesci e a carni. I sintomi dell’allergia alimentare possono coinvolgere più organi e apparati con diversi sintomi: orticaria/angioedema, edema delle labbra e della lingua, prurito al palato, nausea, vomito, diarrea e dolori addominali, broncospasmo, tosse, ostruzione nasale e dispnea e fino allo shock anafilattico con ipotensione e perdita di coscienza. La diagnosi dell’allergia alimentare si basa su anamnesi, cutireazioni come, ad esempio, il prick test con estratto o prick by prick con alimento fresco, dosaggio delle IgE specifiche per l’alimento o per le singole molecole allergeniche dell’alimento in questione ed il test di provocazione orale. 

Allergie: focus sui crostacei

“Le allergie alimentari rappresentano certamente un rilevante problema di salute pubblica, ma nell’immaginario collettivo la loro prevalenza è enormemente sopravvalutata” afferma il dott. Riccardo Asero, Presidente AAIITO – Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri. “Sulla base dei risultati ottenuti da recenti studi multicentrici condotti nel nostro Paese dall’associazione, possiamo fare chiarezza su tre importanti allergie: ai crostacei, al pesce ed all’arachide. È importante chiarire questi argomenti spesso resi scarsamente comprensibili da informazioni provenienti da fonti non adeguatamente qualificate”. 

L’allergia ai crostacei rappresenta la seconda causa di allergia alimentare primaria in Italia (13%) ed esiste una correlazione con la sensibilizzazione agli acari della polvere. La maggior parte delle persone allergiche ai crostacei sono ipersensibili agli acari della polvere; crostacei ed acari, così come i molluschi, sono degli invertebrati ed hanno degli allergeni in comune, dei quali il più importante è la tropomiosina. La tropomiosina delle diverse specie di invertebrati è molto simile per cui un soggetto allergico ad un crostaceo può reagire con la maggior parte degli altri crostacei. Recenti studi condotti in Italia e nell’area mediterranea hanno evidenziato che in realtà meno della metà dei pazienti allergici ai crostacei sono sensibilizzati alla tropomiosina, per cui esistono molti altri allergeni rilevanti. “Circa il 40% dei soggetti con allergia a crostacei manifesta sintomi anche con assunzione di molluschi come mitili, cefalopodi (polpo e seppia) e gasteropodi (lumache), quindi più della metà dei pazienti allergici ai crostacei può assumere tranquillamente molluschi e questi sono spesso pazienti non reattivi alla tropomiosina” spiega il dott. Giorgio Celi allergologo AAIITO afferente al ASST di Mantova. 

Allergie: focus su pesce e arachidi

Allergia al pesce: è abbastanza rara, ma è importante inquadrarla correttamente per evitare diete di eliminazione inappropriate. Il pesce è un alimento di utilizzo comune in tutto il mondo ed il suo consumo è in costante aumento ma in Italia l’allergia al pesce è rara rispetto a quella verso gli altri allergeni di origine animale (1 - 7%). L’allergene maggiore del pesce è la parvalbumina che si trova nel muscolo, è resistente alla cottura ed alla lavorazione delle carni, e può essere anche un aeroallergene durante la lavorazione e la cottura. Le parvalbumine delle diverse specie di pesci sono simili ed è frequente una cross-reattività, ma la loro concentrazione nelle diverse specie è variabile. Allergeni meno frequenti, recentemente riconosciuti, sono l’enolasi e l’aldolasi, meno stabili alla lavorazione ed alla cottura. Allergeni minori del pesce sono contenuti anche nel collagene (quindi nella gelatina di pesce), nel sangue e nelle uova. “Le persone allergiche al pesce sono molto raramente sensibilizzate verso gli altri prodotti ittici come i crostacei e non tutti i pazienti devono evitare tutte le specie di pesce, in quanto esistono soggetti sensibilizzati solo a poche specie o monosensibilizzati ed è pertanto importante inquadrarli correttamente per evitare inutili diete di eliminazione” chiarisce la dott.ssa Gaia Deleonardi, allergologa AAIITO del Settore Allergologia e Autoimmunità LUM, AUSL Bologna. 

L’allergia primaria all’arachide è una delle principali allergie alimentari nei paesi anglosassoni e nei paesi dell’Europa settentrionale, esordisce in genere nei bambini, può essere responsabile di reazioni gravi e spesso persiste nell’età adulta. In Italia l’allergia primaria all’arachide, legata alla sensibilizzazione a proteine di deposito, è rara, si sviluppa in età pediatrica ed è più frequente nelle regioni del nord rispetto a quelle del centro-sud. I pazienti italiani allergici all’arachide più spesso sono sensibilizzati a panallergeni come la Lipid Trasfer Protein (LTP), presente in molti cibi di origine vegetale e potenzialmente responsabile di reazioni severe, o panallergeni pollinici come Profilina o PR-10 a cui il paziente si sensibilizza attraverso i pollini e che nella maggior parte dei casi causano una sindrome orale allergica (sintomi limitati al cavo orale) solo con l’alimento consumato crudo.  

“La terapia delle allergie alimentari si basa sulla dieta di esclusione e sulla terapia d’emergenza con adrenalina autoiniettabile nei pazienti con reazioni gravi. Esiste la possibilità di prevenire reazioni gravi secondarie all’ingestione occasionale di tracce di allergene con la desensibilizzazione, ossia la somministrazione controllata di quantità crescenti di allergene. Tale terapia è eseguita in centri specializzati e permette di migliorare la qualità di vita dei pazienti” spiega la dott.ssa Baoran Yang allergologa AAIITO presso il ASST Mantova. 

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