Antibiotico-resistenza, parla Matteo Bassetti: "È la nuova emergenza mondiale"
All'infettivologo ligure il riconoscimento come primo ricercatore al mondo per numero di pubblicazioni sul tema, decisamente preoccupante
Bassetti: “Antibiotico-resistenza problema serio in Italia. Intervenire il prima possibile”
Un fenomeno sempre più diffuso e impattante è quello legato alla resistenza agli antibiotici. Si tratta indubbiamente di un’emergenza che necessita di misure urgenti e nuove strategie da mettere in campo. Ma nello specifico, che cos’è l’antibiotico-resistenza? Quanto è grave il problema in Italia e quali saranno le conseguenze sotto il profilo individuale e comunitario? L’agenzia stampa Dire rivolge queste domande al professore Matteo Bassetti infettivologo e direttore della Clinica Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova che ha appena ricevuto un riconoscimento per il suo lavoro scientifico sul tema,
Ha appena ottenuto un riconoscimento che la pone come primo ricercatore al mondo, negli ultimi 10 anni, per numero di pubblicazioni sul tema dell'antibiotico-resistenza. Che emozione le suscita?
“Non si tratta di un premio, ma dall'analisi eseguita dal sito expertscape.com che classifica tutti gli esperti di alto profilo nelle differenti materie. Utilizzando un algoritmo che incrocia il numero di lavori scientifici, gli articoli, le citazioni e le pubblicazioni degli esperti in differenti materie scientifiche individua la classifica dei migliori al mondo. Nell'ambito antibiotico-resistenza ha premiato il mio lavoro che ho svolto insieme ai miei collaboratori, prima a Udine e poi a Genova negli ultimi 10 anni. In totale fino ad oggi ho prodotto ben 719 gli articoli pubblicati di cui oltre 500 su batteri resistenti e infezioni nel paziente critico con un Hindex 83, uno dei più alti in Italia tra gli esperti di malattie infettive. Tutto questo mi rende orgoglioso a livello personale e come italiano. È un riconoscimento che dedico all'Italia. Ho sempre lavorato al tema della lotta ai batteri resistenti pubblicando non solo studi epidemiologici ma anche approfondendo ricerche sugli strumenti più idonei con cui combatterli ovvero sui nuovi antibiotici e altre nuove armi”.
Ma di cosa stiamo parlando? E qual è l'entità del problema in Italia?
“L'antibiotico resistenza è un problema globale che interessa tutti i Paesi del mondo. Sono stati già stilati dei report che dichiarano che nel 2050 ci saranno fino a 10milioni di morti all'anno per infezioni da germi resistenti. È facile capire come si tratti di un problema grande, il rischio è che la nuova pandemia che è già presente tra noi sarà quella da batteri resistenti. L'Italia purtroppo è tra i paesi in senso negativo a livello di antibiotico-resistenza: ci battono in Europa solo la Romania e la Grecia. I numeri sono impressionati, un report pubblicato nel 2019 redatto dall'Ecdc riportava che circa la metà dei morti europei per infezioni ospedaliere da batteri resistenti agli antibiotici avviene in Italia. Il risultato finale è che chi entra in ospedale rischia, nel 10 % dei casi, di contrarre una infezione ospedaliera. Si calcola che 1 paziente su 10 quindi, in ospedale, possa infettarsi e molto frequentemente tale germe è resistente agli antibiotici. Come frequenza e diffusione di germi resistenti, l'Italia è messa molto male soprattutto per i batteri Gram negativi. Tra i paesi europei a più evoluti livello sanitario siamo quelli che sono messi peggio”.
Quali sono le cause?
“Ci sono tante ragioni. La prima è che usiamo troppi antibiotici rispetto alla media europea soprattutto nell'uso sia dei farmaci a domicilio che in ospedale. Si tende a usare gli antibiotici in maniera empirica, come una sorta di copertura. Questo è un errore. Secondo me bisogna lavorare molto di più sulla formazione sia sui medici Mmg sia su quelli che lavorano in ospedale. È necessario educare la popolazione generale sui rischi dell'antibiotico-resistenza".
“Mi auguro che la lezione impartita dalla pandemia da Covid-19 attiri l'attenzione dell'opinione pubblica su altri problemi infettivi tra i quali quello dei batteri resistenti. Se il problema non si affronta tutti insieme il rischio è di continuare a produrre dei batteri resistenti. L'altra faccia del problema è che la nostra sanità è la più etica e segue il principio di curare tutti e di non lasciare indietro nessuno. Questo è meraviglioso ma pensiamo agli impianti di protesi ai 90enni o alle cure dei tumori o i trapianti. È chiaro che tutto questo pone le condizioni per cui la popolazione ospedaliera italiana è più fragile ed esposta alle infezioni da batteri resistenti rispetto al resto della media europea. La soluzione è comprendere che si tratta di un problema enorme, forse il problema più grande a livello infettivologico del nostro sistema. Sono molto più pericolosi oggi i batteri resistenti che il Covid. Anche perché l'infezione da Sars-Cov2 ha contribuito ad acuire il problema in quanto sono stati usati in maniera 'leggera' gli antibiotici in particolare la azitromicina e di conseguenza il Covid ha contribuito a crescere l'antibiotico resistenza durante questi anni di pandemia”.
Qual è lo scenario che abbiamo davanti?
“Le ripercussioni non sono indifferenti e non colpiscono peraltro solo quel soggetto che ha fatto uso del farmaco. Se assumo un antibiotico quando in realtà non ne ho bisogno io penso di non fare danno ed invece magari ho cambiato la flora del mio corpo e quel batterio resistente, che elimino con le feci o che peggio ho sulle mani, rischio di passarlo alla comunità in cui vivo magari dove si trova ad essere anche un parente fragile ed immunodepresso creandogli seri danni alla salute. Per questo è un problema trasversale che comprende anche la medicina veterinaria anche l'agricoltura, settori in cui si utilizzano molto gli antibiotici. Gli antibiotici sono farmaci preziosi che vanno usati con cautela, con appropriatezza e dietro prescrizione medica".
“A livello istituzionale posso dire che l'Italia ha fatto meno di altri paesi per apporre dei correttivi in questo senso differentemente da quello che è accaduto in nazioni come la Francia e la Spagna che 15-20 anni fa avevano i nostri stessi problemi e che stanno risolvendo con interventi imponenti e grandi campagne di comunicazioni. Credo che bisognerà parlare molto di questo argomento. Personalmente ho fatto parte del Piano nazionale della Resistenza antimicrobica del ministero della Salute e debbo dire che non ho visto in questi anni grandi interventi politici e sanitari sul tema. Siamo molto indietro rispetto ad altri paesi europei. Se si ponesse meno attenzione al Covid, che grazie ai vaccini è stato ridotto nella sua portata e ci interessassimo ai batteri resistenti credo che se ne beneficerebbe l'intero sistema sanitario nazionale e quello territoriale. Vanno ascoltati di più gli esperti per compiere scelte giuste in materie come queste. Scienziati validi e preparati in Italia ce ne sono moltissimi”.
Le Risorse del Pnrr potrebbero servire per scrivere un piano per combattere la “nuova” pandemia da batteri resistenti e magari intraprendere nuovi studi di ricerca?
“Sono scettico sulle risorse allocate dal Pnrr sulla sanità e non tanto del quanto ma piuttosto del come. Sono state stanziate risorse dove c'era meno bisogno. Molti problemi secondo me per questo motivo rimarranno irrisolti. Bisognava puntare con maggiore coraggio sulla formazione che nel nostro Paese spesso non è completamente indipendente. Gli Ecm sono stati un ottimo sistema ma che non ha portato i risultati sperati. Credo che un sistema che si basi ogni anno su una sorta di ri-certificazione nella propria specialità consenta un vero aggiornamento per il professionista. Se non studi, non ti ri-certifichi allora vieni sanzionato e non hai possibilità di continuare a esercitare nel tuo ambito. L'ottica è quella a mio avviso di creare merito e più competenze e questo è l'unico modo per risolvere molti dei problemi che affliggono la sanità ed in particolare quello dell'antibiotico-resistenza”.