Cos'è l'ansia "post trauma" (che ha bloccato Mikaela Shiffrin)

La sciatrice più forte del mondo rinuncia ai mondiali per la troppa paura dopo la caduta di inizio stagione. Un problema comune con ragioni e percorsi d'uscita molto chiari

di Cristina Brasi
Medicina

Può capitare che, un evento vissuto come traumatico a livello individuale, venga metabolizzato come trauma. La conseguenza è l’attivazione di tutti meccanismi di vigilanza. Quando ci si trova in una situazione similare a quella dove è avvenuto l’episodio che ha cagionato il trauma, ci si espone a quella che viene definita ritraumatizzazione. In questi casi si è di fronte al continuo riattivarsi del sistema di attacco-fuga tipico del post trauma.

Nel caso specifico l’evento ha comportato un dolore, ovvero un’esperienza sensoriale associata a un effettivo danno tissutale. Per quanto sensazione spiacevole, non è possibile farne a meno perché, in assenza di dolore, non saremmo in grado di preservare la nostra vita. Però, il dolore percepito e vissuto, non è solo un’esperienza di natura fisica, ma coinvolge anche un aspetto di ordine emotivo. Esiste difatti un “meccanismo a cancello”, situato nel corno posteriore del midollo spinale, che modula il segnale relativo al dolore. Il cancello si apre e si chiude a seconda delle informazioni in arrivo dai diversi tipi di fibre nervose del corpo. Questo meccanismo include anche gli impulsi nervosi discendenti dal cervello relativi ai pensieri e all’umore dell’individuo. L’apertura e la chiusura del cancello modifica la quantità di informazione spedita al cervello dall’area danneggiata. I pensieri negativi aprono il cancello, che fa passare più informazioni dolorifiche, mentre i pensieri positivi chiudono il cancello riducendo il messaggio relativo al dolore. Il risultato è che i segnali dolorifici possono essere intensificati, ridotti o anche bloccati lungo la strada verso il cervello.

L’evoluzione ci ha dotato di un meccanismo fondamentale per la sopravvivenza: la reazione al pericolo. La risposta emotiva al pericolo ovvero la paura e l’ansia conseguenti, rappresentano uno stato di attivazione fisiologica e cognitiva in previsione di un possibile pericolo. L’attivazione che consegue alla paura e all’ansia, è la cosiddetta risposta di attacco-fuga che consiste in una serie di modificazioni di parametri fisiologici dirette a fornire più forza e velocità per poter fuggire dal pericolo o lottare contro di esso. Il meccanismo attacco-fuga ha dunque un ruolo fondamentale per la preservazione della vita. La risposta automatica di attacco-fuga è collegata all’emozione della paura. Tale reazione porta ad essere più pronti e rapidi nel mettersi in salvo e, solo quando la fuga è impossibile, più efficienti nel lottare per la propria vita. In ogni situazione di allarme si genera una specie di reazione di attacco o fuga, che non sempre ovviamente raggiunge l’intensità che si ha in una situazione di vita o di morte. Se però si è di fronte a un post trauma, l’attivazione di questo sistema è costante e andrò a cagionare esperienza di ansia, deflessione dell’umore, ipervigilianza, pensieri intrusivi, stato di allerta. I pensieri disfunzionali che insorgono vengono chiamati Pensieri Automatici Negativi, per sottolinearne i due aspetti fondamentali: sono automatici, cioè non li evochiamo in modo volontario, ma ci attraversano la mente spontaneamente e rapidamente, tanto che spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto; sono negativi, ossia contengono interpretazioni o previsioni disfattistiche o catastrofiche.

È chiaro quindi che, se un certo grado di ansia non eccessivo può essere utile, i problemi sorgono quando l’attivazione è eccessiva, sproporzionata alla situazione reale, oppure troppo frequente. Quando si diventa troppo ansiosi si può dar luogo a un comportamento di evitamento e, sebbene esso sia dettato da una comune tendenza a non riprodurre esperienze sgradevoli o dolorose, va a rappresentare uno degli ostacoli più grandi nel liberarsi dal problema dell’ansia.  L’evitamento determina inoltre una diminuzione dell’autostima e della fiducia in sé stessi e tende ad estendersi anche a situazioni simili, per un fenomeno chiamato generalizzazione. Le persone imparano a riconoscere le situazioni in cui sono assalite dall’ansia e spesso cominciano a provare ansia alla sola idea di doverle affrontare, quella che viene definita ansia anticipatoria. Ciò comporta la tendenza a evitarle del tutto. Chi evita di esporsi a una situazione temuta, inoltre, non può sapere cosa sarebbe successo se l’avesse affrontata: ciò impedisce di disconfermare le proprie aspettative catastrofiche, ovvero di rendersi conto che le conseguenze temute spesso non si verificano. 

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