Covid-19 e salute dei reni, danni acuti ed esiti a lungo termine
Dal Congresso, l’allarme della Società Italiana di Nefrologia (SIN)
“Oltre il 50% dei pazienti ospedalizzati con Covid-19 ha sviluppato un danno renale acuto. Il profilo dei pazienti a rischio di danno renale acuto (AKI)è di maschi anziani con comorbidità. Il 30/40% di chi ha contratto l’infezione ha sviluppato danni renali” in sintesi sono questi gli allarmi lanciati dalla SIN, Società Italiana di Nefrologia nella prima giornata del simposio di Rimini.
Quindi non solo maggiori infettività e mortalità nei pazienti nefropatici, ma danni renali scatenati dall’infezione del SARS-CoV2 nella popolazione sana.
Ma quali sono le problematiche legate al danno renale da Covid-19? Quali i rischi a lungo termine?
A queste domande ha risposto oggi il Simposio SIN – SIMIT (Società Italiana di Nefrologia – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) sull’epidemia da Covid-19 nel 62° Congresso della Società Italiana Nefrologia.
Un momento per fare il punto sull’impatto che la malattia ha avuto non solo nei pazienti in dialisi e trapiantati, ma anche nella popolazione generale e, secondo una prospettiva completamente rovesciata, sulla compromissione renale causata da SARS-CoV2.
Se, da un lato, i pazienti nefropatici si sono infettati per oltre il 20% in più rispetto alla popolazione generale, con una mortalità 10 volte superiore, dall’altro lato le prime evidenze fanno registrare una percentuale tra il 30 e il 40 di persone che, contratta l’infezione da SARS-CoV2, hanno sviluppato danni renali di gradi diversi e differente intensità.
Sebbene il Covid-19 colpisca prevalentemente l’apparato polmonare, il rene rappresenta uno tra i principali organi target. “Non possiamo ignorare l’impatto clinico che ha avuto sulla salute renale, con un’insorgenza di oltre il 50 % di danno renale acuto in fase di malattia da Covid-19 nei pazienti ospedalizzati e rischi post-acuti più elevati tanto più era grave l’infezione. Ciononostante, gli esiti renali post-acuti sono evidenti anche nei casi in cui la malattia acuta non era così grave da richiedere l’ospedalizzazione” ha commentato Piergiorgio Messa, Presidente SIN e Direttore di Unità Operativa Complessa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Renale al Policlinico di Milano e Professore Ordinario di Nefrologia all'Università degli Studi di Milano.
In media, il rischio di incidenza di danno renale acuto (AKI – Acute Kidney Injury) nei pazienti con Covid-19 è stato pari al 20,4%, ed è questo il dato allarmante che emerge su 17 studi che coinvolgono oltre 18mila pazienti in Italia. Tra i fattori associati all’insorgenza di AKI: anziani (over 70) e sesso maschile, ma anche la presenza di comorbidità quali diabete, ipertensione, malattia renale cronica, neoplasia.
“L’insorgenza di AKI – ha spiegato Messa – ha aumentato i ricoveri in terapia intensiva e la probabilità di morte, con una gravità di danno renale che andava di pari passo con la gravità dell’infezione da Covid-19”.
Quello che è sembrato a tutti importante è di pensare e disegnare efficaci protocolli di gestione delle future pandemie.
Forte dell’esperienza e della tempestività con cui la SIN ha gestito la fase emergenziale e portato avanti la battaglia per la priorità vaccinale, la comunità scientifica dei nefrologi italiani è sensibilizzata e pronta a lavorare in questa direzione, al fine di proteggere i pazienti nefropatici, fragili per eccellenza e poco responsivi agli schemi vaccinali classici.