Meloni democristiana, così tiene unito il governo sul riarmo Ue (nonostante Tajani e Salvini dicano l'opposto)

Il dietro le quinte nella maggioranza dopo il Consiglio Ue

Di Alberto Maggi

Matteo Salvini - Giorgia Meloni - Antonio Tajani.

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La premier aderisce al piano di Ursula ma con distinguo e potrà spiegare ai leghisti che il nostro Paese ha una posizione ben diversa da quella della Francia e della Germania

Da giovane missina con la fiamma nel cuore a ottima democristiana. La metamorfosi di Giorgia Meloni si è compiuta definitivamente con il Consiglio europeo di ieri a Bruxelles sul sostegno all'Ucraina e sul riarmo dell'Unione europea. D'altronde la sua maggioranza è profondamente divisa e altro non poteva fare. Da un lato Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, perfettamente allineato alle posizioni del PPE e che dà pieno e totale sostegno a Ursula von der Leyen e ai suoi reiterati allarmi sulla minaccia russa per l'Europa.

Dall'altro lato Matteo Salvini, anche lui vicepremier, che ha organizzato i gazebo pacifisti della Lega per l'8 e il 9 marzo e che ha bocciato, insieme al moderato e 'draghiano' ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, il piano da 800 miliardi di euro per riarmare l'Ue della presidente della Commissione. Alla fine la mediazione, il compromesso. La via di mezzo. Meloni non fa come Viktor Orban e non mette il veto, cosa che Tajani e Forza Italia non avrebbero mai accettato, ma pone tutta una serie di paletti per non far esplodere l'altro alleato, ovvero il Carroccio.

A cominciare dal nome, perché anche la forma spesso in politica è sostanza, "riarmo parola sbagliata", ha detto la presidente del Consiglio al termine del summit Ue. E poi punti fondamentali: l'Italia non utilizzerà i cosiddetti fondi di coesione per il riarmo, che quindi continueranno a essere usati per scopi sociali o per migliorare le infrastrutture e comunque a favore dei cittadini (e su questo la premier ha dato battaglia per ottenere che ogni Paese fosse libero di decidere se utilizzarli o no per gli armamenti) e le spese militari saranno scorporate dal calcolo dei parametri del Patto di Stabilità.

Punto fondamentale soprattutto per il Mef e che in questo modo mette il governo al riparo da una nuova esplosione di debito pubblico e deficit e soprattutto non compromette i progetti, seppur ambiziosi, di taglio delle tasse per il ceto medio e di nuova rottamazione delle cartelle esattoriali (le due battaglie chiave di Forza Italia e Lega). In sostanza Meloni torna a Roma salvando capra e cavoli, senza terremotare la sua maggioranza. Anche nel continuo e ostinato intento di tenere un summit sull'Ucraina anche con il presidente Usa Donald Trump (come insiste Salvini, ultra del tycoon ma anche la stessa Meloni è d'accordissimo visto il legame con la nuova amministrazione Usa, pensando anche al tema dazi).

La premier aderisce quindi al piano di Ursula ma con distinguo e potrà spiegare ai leghisti che il nostro Paese ha una posizione ben diversa da quella della Francia (il vicepremier e leader del Carroccio solo poche ore fa ha affermato "non metto il futuro di mio figlio nelle mani di Macron") e anche da quella della Germania del cancelliere in pectore Friedrich Merz, sostenuto dai socialdemocratici dell'Spd che per la Lega sono fumo negli occhi. Come lo è per Forza Italia la destra estrema di Afd. Un'ottima democristiana Meloni, tratta a Bruxelles con un occhio agli equilibri delicati a Roma e nel Centrodestra.

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