Ciclisti, associazione querela Feltri: "Le sue parole hanno provocato dolore"
Intervista a Valentina Borgogni, presidente dell’Associazione intitolata al fratello Gabriele, ucciso a 19 anni da un pirata della strada. “Mi aspettavo delle scuse, non è una semplice battuta. Se risarciti finanzieremo una campagna nazionale"
Ciclisti, associazione querela Feltri: "Le sue parole hanno provocato dolore"
“Un dolore insensato”. È quello che ha provato Valentina, Presidente dell’associazione Gabriele Borgogni, la onlus che porta il nome di suo fratello, ucciso nel 2004 a soli 19 anni a Firenze, da un pirata della strada. Una ferita riaperta delle parole di Vittorio Feltri. Il giornalista e consigliere comunale a Milano in quota Fratelli d’Italia è finito – nuovamente – al centro delle polemiche dopo aver dichiarato: “A Milano quello che mi dà fastidio sono le piste ciclabili, i ciclisti mi piacciono solo quando vengono investiti”. Parole inaudite per l’Associazione che ha deciso di querelare Feltri.
Presidente Borgogni, cosa ha provato leggendo la dichiarazione?
Umanamente, molto dolore. Non si riesce ancora a capire quanto spesso l’auto sia usata come arma. Ne abbiamo avuto un esempio tragico pochi giorni fa a Viareggio. Una donna ha usato l’auto per montare sopra una persona che le aveva rubato la borsa. Ha usato un veicolo come un’arma, per uccidere una persona. Un'auto come fosse una pistola o un coltello. Trovo quindi incredibile che un esponente politico, giornalista per giunta, potendo arrivare a tante persone decida di dire pubblicamente una cosa del genere.
Di cosa si occupa l’Associazione che lei presiede?
La Gabriele Borgogni porta il nome di mio fratello, ucciso vent’anni fa da un uomo che guidava ubriaco a Firenze. Lo ha travolto in auto bucando un semaforo rosso. Gabri avevam solo 19 anni. Da allora abbiamo iniziato una serie di attività, come l’educazione stradale e il supporto psicologico gratuito ai familiari e agli operatori di polizia. Ci siamo attivati anche per far passare una legge nazionale sull’omicidio stradale e un Osservatorio regionale sulla sicurezza in Toscana.
Perché avete deciso di querelare Feltri?
Credo che noi, in quanto associazione che si occupa di sicurezza strada, abbiamo il dovere di fermare queste persone. Non ci si può giustificare dichiarando che “era una sola battuta”. In Italia ci sono 3mila morti ogni anno per violenza stradale. Non possiamo far passare impunemente un messaggio del genere. Per questo abbiamo chiesto aiuto alla giustizia. Anche se quasi certamente non cambierà il pensiero del consigliere Feltri, mi aspettavo quantomeno delle scuse.
In caso di vittoria o risarcimento avete qualche progetto già in mente?
Aiuteremo famiglie di ciclisti uccisi, questo è il nostro primo progetto. Poi, in base all’entità dell’eventuale risarcimento, vorremmo avviare una campagna nazionale sulla sicurezza stradale. Ci auguriamo che avvenga anche con la partecipazione dell’attuale governo, visto la collocazione politica di Vittorio Feltri, sarebbe un bel segnale.
È favorevole alla proposta del limite di 30 km orari in macchina in città?
Siamo molto favorevoli. A Firenze e in altri comuni siamo stati contattati dalle amministrazioni per un supporto volto a valutare iniziative in tal senso. Non ci siamo svegliati una mattina, ma ci siamo basati su una serie di studi a livello mondiale. Il dato è chiaro: l’impatto mortale di un veicolo a motore su un corpo si riduce al 35 per cento viaggiando a 30 chilometri orari. Già a 50 la probabilità di morte è dell’85 per cento.
Città come Firenze e Milano sono insicure per chi va in bici?
Purtroppo le città in Italia lo sono. Uno studio di Asaps mostra come dopo la pandemia le morti dei cosiddetti “utenti deboli” (pedoni e ciclisti) siano aumentate del 35%. È vero che dobbiamo tutti far qualcosa, anche i ciclisti. Le norme del codice della strada vanno rispettate da tutti. Resta il fatto che la velocità è la prima causa di morte.
Come si può invertire questa drammatica tendenza?
Ci vuole una cultura dell’educazione stradale. Va cambiata la mentalità: in Italia non abbiamo la percezione che in strada ci si possa fare davvero male. Pensiamo a tante cose mentre guidiamo, senza la percezione del pericolo. In macchina dovremmo pensare di star guidando un aereo, senza pensare a nient'altro.
E la politica come può intervenire?
Dovrebbe valutare maggiormente i dati e le statistiche. E poi dovrebbe acconsentire meno alle richieste delle lobby, che nel nostro Paese sono potentissimee, soprattutto quelle dei motori. Ci vogliono azioni congiunte, senza mettere il cappello politico: la sicurezza stradale non è né di destra né di sinistra.