Carceri, Gelmini (Azione): "La strada del recupero passa attraverso il lavoro"

Gelmini: "Stiamo lavorando ad alcune proposte che raccolgano consenso al di là degli schieramenti"

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Mariastella Gelmini
Milano

Carceri, Gelmini (Azione): "La strada del recupero passa attraverso il lavoro"

Cosa succede nelle carceri milanesi? Ne abbiamo parlato con Mariastella Gelmini, portavoce e senatrice di Azione, che sta lavorando ad alcuni provvedimenti concreti. “La situazione a San Vittore è drammatica, basta ascoltare le parole di don Roberto Mozzi, cappellano del carcere milanese, che ha denunciato nell’ultimo anno ben dodici suicidi a San Vittore: "La morte va rimossa in fretta”, ha gridato il sacerdote. Il sovraffollamento e le condizioni dei detenuti sono insopportabili. “Anche nel carcere minorile Beccaria si sono susseguite denunce contro il personale per maltrattamenti, fughe, rivolte. E anche le organizzazioni sindacali hanno parlato di un “situazione in peggioramento in questo luogo sempre più abbandonato”. Ora, dopo anni, c’è un direttore e la situazione sembra stia migliorando ma occorre costruire un percorso per questi ragazzi. Solo il carcere di Bollate (al netto di qualche svista come la fuga del pluripregiudicato Cristian Filippo Braidich, ras di viale Sarca) si pone il tema della integrazione.

Carceri, Gelmini (Azione): servono soluzioni strutturali

Un tema quello delle carceri che va affrontato con soluzioni strutturali. Con alcune fondazioni -. Spiega Gelmini - stiamo lavorando ad alcune proposte che raccolgano consenso al di là degli schieramenti. Uno degli obiettivi è di creare le condizioni per la sostenibilità della pena. L’articolo 27 della Costituzione parla di una funzione rieducativa della pena ma oggi le condizioni delle carceri sono disumane: occorre fare presto con interventi che aprano una strada nuova a chi sconta la pena, grazie alla formazione e al lavoro. Basta pensare che oggi in Italia su 57mila detenuti lavorano solo in 5mila, ma sappiamo anche che il lavoro fa scendere la recidiva al 2%. Questo vuol dire che la direzione è quella giusta, che il lavoro in carcere non deve essere un’eccezione e che bisogna far crescere la percentuale di detenuti lavoranti”, conclude Gelmini.