Gualzetti (Caritas): "Covid, il 41% dei nuovi poveri è ancora in difficoltà"

Il rapporto sulla povertà realizzato dall’Osservatorio della Caritas Ambrosiana: "Donne con bambini e famiglie numerose non stanno riuscendo a ripartire"

Luciano Gualzetti, Caritas ambrosiana
Milano
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Gualzetti (Caritas): "Covid, il 41% dei nuovi poveri è ancora in difficoltà"

La ripartenza post Covid non è uguale per tutti. È quanto emerge dal rapporto sulla povertà realizzato dall’Osservatorio della Caritas Ambrosiana su un campione di utenti dei centri di ascolto e dei servizi presenti nel territorio della Diocesi di Milano. Infatti, quattro persone su dieci precipitate nella povertà durante la pandemia, non si sono ancora risollevate. “Il 41% che non ce l'ha fatta a ripartire sono donne con bambini e famiglie numerose”, ha sottolineato il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti. Dalla conferenza è emerso che il dato è il più alto rispetto al resto del Paese dove coloro che erano entrati per la prima volta nel sistema di assistenza lo scorso anno e non ne sono ancora usciti sono il 29,7%. Comprendendo i lavoratori saltuari, sono i settori della ristorazione e quello alberghiero ad essere stati colpiti più pesantemente dalla crisi. Camerieri, lavapiatti, addetti alle pulizie, con la fine del lockdown, hanno ripreso a lavorare ma ad orari ridotti e con una conseguente diminuzione di salario tale da non garantire più livelli di reddito sufficienti.

Secondo il monitoraggio condotto nella diocesi di Milano nel 2019 e nel 2020 quasi la metà dei poveri aiutati da Caritas Ambrosiana (il 48,7%) non ha beneficiato del reddito di cittadinanza. Mentre oltre la metà (54%) di tutti coloro che lo hanno ricevuto sostiene che è comunque troppo basso rispetto al costo della vita. Tra gli immigrati la percentuale di chi ne è rimasto escluso sale al 70,9%, un dato molto più alto delle media nazionale (54.9%). Tra le coppie con figli addirittura il 75,8% non ha ricevuto il sussidio. Nel 2020 nei tre servizi diocesani e nei 106 centri di ascolto considerati dall’Osservatorio, che corrispondono a circa un quarto del totale dei centri di ascolto presenti nella Diocesi, si sono rivolte 12.461 persone. Solo negli ultimi tre mesi dello scorso anno, all’interno del campione preso in considerazione, sono state 1.625 le persone che non erano mai state incontrare prima. Hanno chiesto aiuto alla Caritas Ambrosiana per lo più le donne (56,1%), gli stranieri (57,7%) anche se in misura inferiore rispetto al 2019, l’anno immediatamente precedente all’esplosione del Covid quando erano il 62,7%. Tra gli assistiti il 48,4% non ha un legame stabile, il 61,1% ha una bassa scolarità, il 56,7% è disoccupato ma il 43,3% è povero nonostante abbia un lavoro. La metà (50,5%) chiede beni materiali e servizi, il 17,4% lavoro, il 37,2% sostegno personale.

“Il rapporto mostra che le ferite sociali inferte dal Covid non si rimarginano tanto in fretta – ha continuato Gualzetti -. Colpisce in particolare la percentuale di chi torna a chiedere aiuto nelle parrocchie. Una quota più alta rispetto alla media nazionale, segno di come la locomotiva d’Italia si è rimessa in moto, ma il treno sta lasciando a terra proprio i più deboli. Il rapporto mette in luce come vada assolutamente riformato il sistema degli aiuti pubblici: dagli ammortizzatori sociali al reddito di cittadinanza”. Il direttore ha aggiunto: “Molte persone che si sono rivolte a noi avevano un lavoro precario o in nero e non hanno potuto accedere ai diritti fondamentali che noi diamo per scontato nel mondo del lavoro e poi molte di queste fanno fatica a rientrare perché il mondo del lavoro è cambiato. Pensiamo alla digitalizzazione che ha travolto tutti, anche le imprese stanno ripartendo ma il loro modo di lavorare è cambiato e chi non ha le professionalità per stare al passo con questo ovviamente non riesce a rientrare. Ci vuole una grande alleanza tra imprese, università, mondo della formazione professionale e ovviamente anche chi incontra queste persone”, ha concluso.

"Il reddito di cittadinanza ha dei limiti"

“Circa la metà delle persone che abbiamo incontrato nel 2020 non aveva il reddito di cittadinanza. Questo ci fa dire che il reddito di cittadinanza ha dei limiti, non vuol dire che bisogna toglierlo, bisogna confermarlo perché è l'unica misura universalistica di contrasto alla povertà che abbiamo”. Lo ha detto il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti a margine della presentazione del rapporto sulle povertà nella Diocesi di Milano. “Bisogna adeguare e modificare quelle cose che non hanno funzionato – ha continuato -, il fondo non ha aiutato le famiglie numerose, gli stranieri avevano come limite i dieci anni di residenza quindi non hanno potuto accedervi, c'è un problema di reddito e naturalmente al nord questo reddito è troppo basso rapportato al costo della vita e andrebbe rivisto”, ha concluso.

Tutti i numeri della Casa della Carità

Ogni giorno la Casa della Carità si occupa dei più "fragili", persone con problemi fisici o di salute mentale, che non troverebbero accoglienza altrove; un impegno rafforzato durante la pandemia. A queste persone la Fondazione ha offerto informazione e protezione contro il virus e, quando necessario, percorsi di isolamento e cura. Ora la Casa della Carità ha valutato l'impatto sociale dell’ospitalità durante la pandemia di 13 persone con problemi fisici o di salute mentale, con una sperimentazione della metodologia SROI - Ritorno sull’Investimento Sociale.

Il risultato è un indice SROI di 1,87. Ciò significa che, per ogni euro donato a sostegno dell’accoglienza di queste persone, la Casa della Carità ha generato un valore di 1,87 euro per tutta la società. "La valutazione di impatto sociale è per noi un’operazione di trasparenza che, per una realtà come la nostra che vive sul sostegno di tanti, non solo economico ma anche di idee e di partecipazione, è un valore fondamentale. Dire che questo sostegno non viene incamerato in ottica privatistica, ma viene restituito alla città credo sia estremamente importante", afferma il presidente della Casa della Carità don Virginio Colmegna. "Accogliere persone fragili in pandemia non è stato facile, soprattutto all’inizio; era una situazione sconosciuta e in continua evoluzione e non si sapeva bene come agire. Ma grazie alla dedizione e alla professionalità degli operatori, alla vicinanza dei volontari e con il sostegno dei donatori siamo riusciti a farlo al meglio. Sapere quindi che per ogni euro donato per questa accoglienza, durante la pandemia abbiamo generato un valore sociale di 1,87 euro, cioè quasi doppio, è una bella soddisfazione, che restituisce il senso del nostro impegno e riconsegna a chi ha creduto in noi il valore del loro “investimento”", dichiara Maurizio Azzollini, direttore generale della Fondazione.A beneficiare del valore generato dall’ospitalità della Casa della Carità sono innanzitutto gli ospiti stessi, per il 59% del totale. Poi vengono gli stakeholder esterni, come i donatori o gli abitanti del territorio (23%), quindi dipendenti e collaboratori della Fondazione (18%). Per fare degli esempi concreti, alcuni ospiti, nel complesso, hanno visto cambiare in meglio la loro condizione. Si sono registrati miglioramenti in ambiti come la cura di sé, i rapporti sociali e la salute mentale. Per quanto riguarda i lavoratori coinvolti, la maggior parte ha dichiarato un aumento della soddisfazione personale legata al lavoro.

Gli stakeholder esterni, tra cui gli abitanti del quartiere in cui opera la Fondazione, hanno beneficiato di una riduzione della circolazione del Coronavirus sul territorio. Il 32,36% ha dichiarato una migliore vivibilità del quartiere (il 62,1% pensa che non influisca, il resto che peggiori), ed il 35,48% ha certificato anche un miglioramento della sicurezza del quartiere (il 61,3% pensa che non influisca, il resto che peggiori).La sperimentazione della valutazione di impatto sociale rappresenta per la Fondazione di via Brambilla la prosecuzione di un percorso di rendicontazione e trasparenza iniziato con il Bilancio sociale e continuato, a partire dal 2014, con il Bilancio di sostenibilità che dal 2016 è inoltre asseverato da CISE – Centro per l’Innovazione e lo Sviluppo Economico, che analizza le procedure di redazione e verifica l’attendibilità delle informazioni.

Il Ritorno sull’Investimento Sociale (in inglese, Social Return on Investment, da cui la sigla SROI) è una delle metodologie con cui si può valutare l’impatto sociale di un’organizzazione. I risultati sono stati ottenuti attraverso dei questionari. Quindi, a ciascun risultato è stato dato un valore economico sulla base dei quali è stato calcolato l’impatto e l’indice SROI.

La valutazione di impatto sociale è stata realizzata da Sigma NL, una startup innovativa, nata come spin off dell’Università degli Studi di Genova, tramite la quale si svolgono attività di ricerca, di trasferimento tecnologico della ricerca socio-economica-culturale, innovazione per prodotti e servizi, consulenza ad alto valore tecnologico per imprese, enti pubblici e società partecipate dalla PA, associazioni e altri soggetti profit e non profit.

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