'Guerra delle influencer' sui social, Somensi: "Competitività sì, tossicità no. Il segreto? Mantenere la propria identità"
Virale il video di Eleonora Arcidiacono contro le colleghe influencer dopo l'evento milanese di Victoria's Secret. C'era anche Alessandra Somensi. Che ad Affari racconta come è andata veramente
'Guerra delle influencer' sui social, Somensi: "Competitività sì, tossicità no. Il segreto? Mantenere la propria identità"
Mondo delle influencer in fibrillazione dopo che negli scorsi giorni è diventato virale su TikTok il video di Eleonora Arcidiacono (415mila follower) con cui la giovane racconta lo shock avuto al primo evento per creator al quale è stata invitata a partecipare. L'occasione era l'accensione dell'albero di Natale di Victoria's Secret. Arcidiacono ha voluto denunciare il comportamento di alcune delle sue colleghe, definite "cafone" che sui social sembrano “Maria Goretti” e che invece “venderebbero la loro madre per tre foto”. "Non mi piace l'idea che una persona sui social si mostri come qualcosa che non è". Ed ancora: "C'è un canone di perfezione irraggiungibile, si tratta di un mondo scintillante, ma che nasconde un'altra faccia della medaglia". Quindi la conclusione: "Nel momento in cui sono uscita sono scoppiata a piangere. Non avevo mai provato una sensazione così brutta".
Uno sfogo genuino, forse persino ingenuo. Ma che ha generato un ampio dibattito, con il video che ha raggiunto diverse milioni di visualizzazioni. E repliche di diverso tenore, con gli utenti del social spaccati tra due fazioni. Affaritaliani.it ha contattato Alessandra Somensi, influencer a sua volta invitata all’evento di Victoria’s Secret a Milano. Alessandra ci ha raccontato la sua esperienza, offrendoci una prospettiva equilibrata su una serata tanto discussa: "Sì, c'era una forte attenzione all'estetica, ma eventi di questo genere lo richiedono. E c'era molta competizione implicita, ma la sfida è mantenere la propria identità". L'intervista.
Come descriveresti la tua esperienza personale all’evento di Victoria’s Secret a Milano? Ti sei sentita a tuo agio?
Secondo la mia personale esperienza è stato un evento complessivamente positivo, ma non privo di alcune riflessioni. L’evento era curato nei minimi dettagli, con un’atmosfera apparentemente accogliente e scenografie pensate per stupire, come i poster con le ali che richiamano il tema di Victoria’s Secret. C’era una forte attenzione all’estetica e alla perfezione, che può mettere sotto pressione, soprattutto se non ti senti completamente allineata a quell’immagine. Mi sono sentita a mio agio, pur avendo un outfit fuori dalla mia zona di comfort ma in linea con il brand. Credo sia giusto adattarsi al contesto quando si lavora per promuovere un evento. Non sarei mai andata con Ugg e maglioncino, perché quello è il mio outfit da tutti i giorni. Eventi come questo richiedono un’immagine curata: come si dice, anche l’abito fa il monaco!
Hai avuto modo di notare o percepire l’ambiente tossico di cui si è parlato? Pensi che ci fosse davvero una situazione sgradevole?
Non parlerei di un ambiente esplicitamente ‘tossico’, ma posso capire se alcune persone abbiano percepito un clima non inclusivo. Ad esempio, c’era un salottino con buffet privato riservato solo ad alcune influencer, forse ambassador del brand o particolarmente appariscenti. C’era molta competizione implicita, con un’attenzione spasmodica ai dettagli e alle apparenze. Questo può diventare opprimente, soprattutto per chi non si sente ‘abbastanza’ rispetto agli standard percepiti. Personalmente, sono andata senza aspettative, ma con un outfit in linea con il tema, perché penso che sia un approccio professionale. Detto ciò, credo che il modo in cui si vive l’evento dipenda molto dalle proprie aspettative e dalla capacità di distaccarsi da certi meccanismi.
Alessandra Somensi
Ti senti di condividere, almeno in parte, le sensazioni espresse dall’influencer nel suo video?
In parte sì. Comprendo il disagio che può nascere in contesti così strutturati, dove sembra che ogni mossa venga giudicata. Non è facile mantenere l’equilibrio emotivo quando ci si sente sotto osservazione o quando ci si confronta continuamente con persone che incarnano ideali di perfezione. Tuttavia, è importante distinguere tra insicurezze personali e la volontà di cavalcare l’onda di un momento per creare hype o screditare altre influencer che magari neanche erano presenti.
Pensi che eventi di questo tipo possano oggettivizzare le partecipanti, o credi che siano semplicemente fraintesi?
Dipende molto da come vengono percepiti. È vero che, in certi casi, le partecipanti possono sentirsi ridotte a strumenti di marketing o estetica, soprattutto quando l’enfasi è tutta sull’apparenza. Ricordo, ad esempio, una fila infinita per ritirare il gift bag, come se fosse una medaglia dopo una maratona. Sfoggiare quel sacchetto rosa sembrava dire: ‘Guardatemi, io c’ero’. Tuttavia, va detto che noi siamo lì proprio per pubblicizzare il brand in maniera gratuita. Fa parte del gioco e del lavoro che svolgiamo.
Cosa ti ha lasciato quest’esperienza, soprattutto dopo il pandemonio scatenato online? Pensi che queste polemiche abbiano una base concreta o siano state amplificate dai social?
Questa esperienza mi ha insegnato a guardare con maggiore consapevolezza al mondo degli eventi e della moda. Le polemiche hanno sicuramente una base concreta, ma sono state amplificate dai social, che tendono a polarizzare le opinioni in cerca di hype. Detto questo, credo sia positivo che certe dinamiche vengano discusse: ci spinge tutti – influencer, brand e pubblico – a riflettere su come costruire contesti più autentici e inclusivi. In altri eventi ho vissuto situazioni molto meno inclusive. Ad esempio, ho impiegato 40 minuti per raggiungere una location e solo 10 minuti a un evento perché tutta l’attenzione era concentrata su influencer da milioni di follower (vedi Giulia De Lellis o Chiara Ferragni). In quel caso, non ho nemmeno avuto il tempo di fare un semplice photo booth. È una realtà a cui bisogna adattarsi, pur mantenendo la propria identità.