I libanesi di Milano: “Dolore per il nostro Paese”. Intervista a don Assaad Saad

Intervista a don Assaad Saad, parroco maronita di Milano, riferimento dei 5mila libanesi in Italia tra cristiani e non

di Stefano Marrone
Milano

I libanesi di Milano: “Dolore per il nostro Paese”. Intervista a don Assaad Saad

Tristezza, stress e angoscia”. Sono questi i sentimenti della comunità libanese di Milano. A testimoniarli è don Assaad Saad, parroco libanese della chiesa di Santa Maria della Sanità. Ogni settimana dal 2014 nella parrocchia di via Durini 20 si radunano centinaia di maroniti. Sono cattolici d’oriente, che assistono al rito in italiano, arabo e aramaico (la lingua di Cristo). “Siamo un mosaico di tante etnie e professioni. Ci sono medici, ingegneri e studenti. Alcuni fedeli vengono da Palestina, Giordania, Siria, Iraq e Turchia, ma è dal Libano che proviene la maggioranza dei cristiani maroniti”. Proprio il Libano al centro delle tensioni di questi giorni.

Don Assaad, può raccontarci la comunità maronita di cui è parroco?

La nostra comunità si raduna da dieci anni in via Durini. La chiesa di Santa Maria della Sanità è nata con un decreto del novembre del 2014, in accordo tra il Patriarca maronita e l’Arcivescovo di Milano. Siamo cristiani cattolici, il nostro è l’unico rito mediorientale insieme a quello copto. La nostra comunità è un’oasi per tutti i fedeli del Medio oriente.

Quanto è grande la comunità libanese in Italia?

È difficile la stima, perché tanti non rimangono fissi in Italia. Poi, non tutti i libanesi nel nostro Paese sono maroniti. C’è stata una migrazione recente, a partire dal 2014. Nel complesso la nostra è una piccola comunità, all’incirca di 5mila libanesi in Italia, tra cristiani e musulmani. Il primo nucleo è arrivato negli anni Ottanta, ai tempi della terribile guerra civile libanese. Oggi sono professionisti, molti medici e ingegneri. A Milano la comunità è frequentata da molti studenti, venuti dal Libano per frequentare i tre atenei di Milano, ma anche le università di Brescia, Pavia e Torino.

Qual è l’umore della comunità in questi giorni?

Viviamo giorni di tristezza, stress e angoscia. La situazione in Libano è peggiorata molto negli ultimi anni. Non è la prima volta che viviamo questa tragedia nel nostro Paese. Sono generazioni che viviamo e nasciamo nella guerra. Io sono nato nel 1972, avevo tre anni quando è cominciata la guerra civile. Siamo in angoscia per i nostri cari. C’è sentimento di forte desolazione per il nostro Paese che non riesce a stare in piedi, passando da una tragedia all’altra.

Cosa ne pensa delle tensioni di questi giorni?

Il nostro paese è crollato nel 2019 in un disastro politico economico. Eravamo la Svizzera del Medio oriente, ora non riusciamo più a uscire dal caos. La guerra in Siria ha portato due milioni di profughi, in Libano che ha in tutto 4 milioni di abitanti. Faticavamo già a riprenderci dalla guerra con Israele nel 2006. Le basti sapere che non abbiamo ancora un Presidente della repubblica e tutte le cariche dello Stato sono dimissionarie da anni. Il nostro, come sento dire spesso in Italia, è “un paese fallito”, non solo da sé stesso ma da di molti fattori esterni. Tutti si riempiono la bocca col proclama di “ripulire il paese”. Usa, Iran e Arabia Saudita, ma poi nessuno ci aiuta. Ognuno lavora per i suoi interessi.

Cosa ne pensa della guerra con Israele?

La guerra con Israele non è recente, e non conoscerà una fine finché non si risolverà quella in Palestina. Lo scorso 7 ottobre siamo rimpiombati nel conflitto. Le tensioni in Libano sono collegate alla questione palestinese. Abbiamo 600mila profughi palestinesi nel nostro Libano. Questo ha comportato negli anni prima la guerra civile e poi invasione l’invasione israeliana nel 1982. Fino al 2005 eravamo sotto occupazione siriana. Quella di oggi è una guerra con Israele, all’interno del conflitto regionale in Medio oriente. Ho vissuto personalmente l’orrore della guerra del 2006, mentre ero seminarista. Vivevo nel mio paesino nel nord del Libano, vicino alla Valle Santa di Qadisha. Hanno bombardato casa mia e le zone intorno per provare a colpire le reti televisive. Oggi è anche peggio, una guerra se possibile più feroce.

Cosa ne pensa delle manifestazioni del 7 ottobre?

Il sette ottobre è la conseguenza di tanti anni di ingiustizie. Finché non c’è giustizia per tutti non arriveremo alla pace. Per la pace in Medio oriente serve giustizia. Quando qualcuno si sente aggredito, poi reagisce. È una storia che va avanti da troppo tempo, serve giustizia per avere pace.

Dire che Hezbollah è il Libano è un errore?

Non preferisco entrare in questi dettagli politici. Voglio solo stare vicino alla mia comunità, che si sente colpita. E pregare.

Farete manifestazioni in questi giorni?

No, in tutte le comunità ci sono tensioni e io non lascio che si faccia politica nella mia chiesa. Non partecipo a nessuna manifestazione politica. Noi cerchiamo di avanzare il dialogo e di pregare per il Libano. È tutto quello che possiamo fare. Parteniamo ai convegni per la pace. L’anno scorso ci ha visitato a Milano il muftì di Tiro, per parlare di pace. Ho sentito il console di Milano per collaborare negli aiuti alla nostra comunità. Cerco di sentire gli studenti che sono tanti indifesi e angosciati. Stiamo raccogliendo materiali da inviare in Libano. A tal proposito, invito chiunque voglia fornire un aiuto concreto a nostro Paese a contattare il Consolato libanese in Italia.

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