Il racconto dell’influencer: ”Vai dallo psicologo? Via dal lavoro"

Federico Rutali: ​​​​​​​“Deriso e rifiutato dopo un colloquio di lavoro perché vado dallo psicologo”

Milano
Condividi su:

Il racconto dell’influencer: ”Vai dallo psicologo? Via dal lavoro"

“Deriso e rifiutato dopo un colloquio di lavoro perché vado dallo psicologo”. Questa l'accusa lanciata dall’influencer Federico Rutali, già in passato finito al centro di alcune polemiche per la partecipazione, in tempo di Covid, a un veglione di Capodanno  e per aver messo all'"asta" la sua verginità.

Riceviamo e pubblichiamo questa sua lettera

Mi chiamo Federico Rutali, da diversi anni vivo e lavoro a Milano, che oramai è diventata la mia seconda casa. Nasco a Bologna, una città frenetica e piena di lavoro e proprio quest'ultimo ha sempre tenuto lontano i miei genitori. La mancanza di affetto mi ha portato ad avvicinarmi al cibo, visto da me come un porto sicuro. Con gli anni iniziai a prendere diversi kili, fino a diventare malato. A partire dai 5 anni mi hanno diagnosticato l’obesità, cosi sono dovuto stare per nove lunghi anni in cura all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.

Quelli dell'adolescenza sono stati gli anni più brutti della mia vita dato che non mi piacevo e capivo al tempo stesso di non piacere agli altri; spesso i miei compagni mi deridevano e criticavano aspramente, additandomi come ciccione o bombolone e ovviamente queste parole arrivavano dritte al cuore. Sono stati anni talmente brutti per me che non uscivo mai di casa ed avevo persino paura di andare a scuola: i corridoi dell'istituto mi terrorizzavano e oggigiorno al solo pensiero mi viene una fitta al cuore.

Chi è riuscito a salvarmi? Lo psicologo. A partire dai 15 anni ho deciso di iniziare questo percorso, grazie al quale sono diventato molto più sicuro ed estroverso. Reagire da solo sarebbe stato impossibile e non sarei mai riuscito ad affrontare questo lungo viaggio interiore. Grazie allo psicologo ho imparato a reagire agli attacchi dei bulli, facendo capire loro che non ero più il ragazzino debole ed indifeso di una volta. Così, raggiunta la maggiore età decisi di sospendere le sedute.

All’età di 19 anni sono andato a vivere a Milano per iniziare una nuova vita: mi iscrivo alla facoltà di Giurisprudenza con l’intento di diventare un avvocato ed aiutare così tutte le persone che hanno bisogno di giustizia. Per pagarmi gli studi inizio a lavorare come social media manager, poi stando a contatto con il mondo dello spettacolo e partecipando a diversi eventi sono riuscito ad ottenere sempre più followers su Instagram, diventando un influencer.

Ho fatto rumore per aver lanciato alcune provocazioni in tv e sui social, mossa fatta per porre l'accento su temi importanti come il bullismo e la diversità. Mi sono sempre schierato dalla parte dei più deboli, mostrandomi per quello che sono realmente. Forse una sola cosa in pochi sanno: ho deciso di andare nuovamente dallo psicologo. Ho 24 anni, sono un influencer e non mi vergogno a dire che tuttora ho bisogno dell’aiuto di un esperto!

Verso la fine di gennaio ho avuto nuovamente un crollo emotivo caratterizzato da attacchi di panico, ansia, fobia sociale. Il motivo? Non riuscire a gestire il tanto odio che ricevevo in rete ma anche dal vivo. Numerose le minacce di morte, le offese, le diffamazioni ma anche gli appostamenti nei locali che frequentavo. Questo mi faceva male, perchè essere un “personaggio pubblico” non vuol dire essere invincibile e senza sentimenti. Uno prova a non darci peso ma alla fine ti feriscono, ti fanno riflettere, soprattutto se sei una persona molto auto-critica come me. Mi addormentavo la sera tra lacrime e domande tipo “Forse sono davvero sbagliato?!”, “Forse merito di morire?!”. Ho sempre cercato di non dare a vedere il mio malessere, poichè Le collaborazioni, gli eventi, le interviste ti portano a doverti mostrare forte, invincibile, per non deludere le aspettative proprie e dell’agenzia.

In questi ultimi mesi sono felice perchè dopo quasi 5 anni ho fissato nuove sedute dallo psicologo. Oltre all’influencer e lo studente universitario, lavoro da alcuni anni con una cooperativa che si occupa di fornire personale per eventi e per tutte le attività di promozione dell’azienda. Lo steward/promoter è un lavoro a chiamata, dove viene richiesta una disponibilità esclusiva per un determinato periodo. Alcuni giorni fa mi sono presentato alla cooperativa per discutere circa i mesi di lavoro, ma la situazione è degenerata, al punto che sono scoppiato a piangere.

La responsabile mi ha chiesto una completa disponibilità per le fasce orarie 10-17 dal lunedì al venerdi per tutto il mese di settembre e ottobre. Io diedi la mia disponibilità per lavorare con loro, precisando peró che mi servivano due ore alla settimana per andare dallo psicologo nel caso in cui non riuscissi a spostare le sedute a prima delle 10 o dopo le 17. Sottolineando che avrei fatto il possibile per non chiedere dei permessi. La responsabile, senza un minimo di sensibilità, con un mezzo ghigno sul viso mi disse: “Quando si lavora non c’è tempo per i giochi… ma poi, che malattia mentale hai?”. Io, incredulo per il poco tatto, le provai a spiegare che stavo intraprendendo questo percorso di due sedute settimanali di un ora ciascuna per affrontare problemi di ansia ed attacchi di panico che recentemente mi erano ritornati. La responsabile, quasi con disprezzo, mi liquidó dicendo che avevano bisogno di persone competenti e soprattutto sane di mente perchè non potevano permettersi brutte figure con le aziende. In sintesi? Sono stato rifiutato solamente perchè vado dallo psicologo.
Rientrato a casa scoppiai a piangere, le parole della responsabile mi ferirono perché questa è ignoranza.

Vorrei condividere con Voi questa disavventura per normalizzare abitudini e comportamenti che non meritano di essere nascosti, discriminati o etichettati come anormali. Siamo nel 2021 ed esiste ancora l’idea che andare dallo psicologo sia per le persone “pazze” o “malate”. Questo luogo comune si è consolidato negli anni perchè la societá ci impone di essere forti, pertanto la debolezza viene vista come una malattia da curare e la richiesta di aiuto come una azione di cui vergognarsi. Sapete cosa penso? Andare dallo psicologo è da coraggiosi, perchè non è mai facile fare i conti con noi stessi e le nostre fragilità. Vorrei una società in cui venga apprezzata di più la richiesta di aiuto perchè non sempre possiamo contare solo sulle nostre forze. E' importante parlarne soprattutto per far capire ai ragazzi che se sentono il bisogno di avere un colloquio con un esperto devono tranquillamente rivelarlo ai propri genitori, e non devono assolutamente lasciarsi sopraffare dalla paura o timidezza.

Essendo io un giurista, vorrei anche sottolineare un aspetto che pochi sanno: i lavoratori possono assentarsi per alcune ore per sostenere una prestazione psicologica. Infatti in base al Contratto Collettivo applicato ed alla categoria di lavoratori, l'assenza puó risultare come assenza per malattia o dare la possibilità di chiedere un permesso retribuito. Il lavoratore assunto con contratto di lavoro intermittente ha diritto allo stesso trattamento riservato ad un altro lavoratore, pertanto può assentarsi anche per una seduta dallo psicologo. In questa eventualità la legge prevede che il lavoratore comunichi tempestivamente al datore di lavoro le ore di assenza e consegni successivamente l'attestazione rilasciata dal medico.

È importante fare informazione su argomenti così delicati, perchè molte persone, anche adulte, non sanno dell'esistenza di alcuni diritti (come nel caso dei permessi retribuiti per prestazioni psicologiche) e soprattutto si sentono in imbarazzo nel chiedere aiuto, pensando di essere le sole a provare quel tipo di dolore. Ma non è così! L’unico modo per normalizzare l’andare dallo psicologo è parlarne senza filtri.