La verità, vi prego, sul Meazza. Il commento di Affaritaliani.it Milano

Per fare l'interesse di Milano bisogna rassegnarsi non al meglio, ma al bene

di Fabio Massa
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Milano

La verità, vi prego, sul Meazza. Il commento di Affaritaliani.it Milano

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San Siro e la questione Meazza. Quello che viene scritto, e quello che si legge, non è reale. E' tutto una fuffa, tutto un bluff. La verità è che le squadre stanno al palo, e specialmente l'Inter. La verità è che il Comune di Milano non sa che pesci prendere, per colpe proprie che non può scaricare e per colpa delle squadre con tutte le loro vicissitudini societarie. Mi spiego. Lo stadio dell'Inter a Rozzano è anche una buona idea, ma manca una cosa molto semplice: i soldi. Non c'è un piano finanziario credibile, non ci sono tempi certi, non c'è niente di niente. Per lo stadio del Milan è oggettivo che la pratica è più avanti, ma non bisogna illudersi: prima di vedere un mattone uno a San Donato c'è da aspettare molto, e ci sono almeno altri cinque passaggi sotto le forche caudine che potrebbero inceppare il progetto. Quindi, rimangono a San Siro? Alle condizioni attuali, semplicemente no. Perché le condizioni attuali derivano da un metodo che il Comune di Milano, in certi casi come la Galleria con ottimi risultati, ha usato fin dal giorno uno di Giuliano Pisapia: porsi in condizione di superiorità con i privati, rispetto alla sudditanza delle amministrazioni precedenti. E - dunque - chiedendo molto e, peraltro, ottenendo molto. Perché Milano è una città che tira. Il metodo ha funzionato, e funziona. Ma le squadre sono povere, poco capitalizzate, con logiche non italiche, con traiettorie non perfettamente industriali. E quel metodo di imposizione di un percorso, quel metodo che antepone il massimo interesse pubblico alla fattibilità del progetto, semplicemente non funziona. La soluzione? Difficile individuarla. Forse occorre prenderne atto: per fare l'interesse di Milano, visto che il Meazza senza squadre è un danno galattico (chi le paga le ristrutturazioni straordinarie e ordinarie?), bisogna rassegnarsi non al meglio, ma al bene.