Oltre il quotidiano. Cecilia Gaburro su Daniel Spoerri e i giovani artisti

L'intervista a Cecilia Gaburro sulla sua mostra dedicata a Daniel Spoerri, che esplora il confine tra oggetto quotidiano e arte

Lowell Krystel

Cecilia Gaburro

The Milan Show-Biz

Oltre il quotidiano. Cecilia Gaburro su Daniel Spoerri e i giovani artisti

Cecilia Gaburro presenta la mostra dedicata a Daniel Spoerri, esplorando il confine tra oggetto quotidiano e arte. L’esposizione coinvolge giovani artisti internazionali e invita a riflettere su memoria e trasformazione, offrendo un contributo innovativo al panorama artistico.

Il titolo della mostra si ispira a un aforisma di Daniel Spoerri. Cosa significa per voi "Quello che vedete non è né cibo, né arte"? Come si collega questa frase alle opere esposte?

L'aforisma di Daniel Spoerri, "Quello che vedete non è né cibo, né arte," invita a riflettere sulla percezione e sulla relazione tra il materiale e il concetto. Significa che ciò che osserviamo non può essere classificato in modo rigido; piuttosto, è un invito a esplorare il significato e l'interpretazione che diamo agli oggetti. Nel contesto delle opere di Iain Andrews, Malte Zensens, Leda Bourgogne e Nebojša Despotović, questa frase si riflette nella loro capacità di sfumare i confini tra il quotidiano e l'artistico. In questo caso, l'aforisma diventa un punto di partenza per un dialogo più ampio sulle aspettative legate all'arte e alla vita quotidiana, stimolando una riflessione critica su come percepiamo il mondo che ci circonda.

Daniel Spoerri è stato un maestro e un amico indimenticabile. La sua visione unica ha cambiato il volto dell'arte contemporanea, fondando la Eat Art e contribuendo al Nouveau Réalisme.

La Galleria Gaburro ha una lunga collaborazione con Daniel Spoerri. In che modo la sua visione artistica ha influenzato la concezione di questa mostra e il dialogo tra gli artisti partecipanti?

L’esposizione è un omaggio a Spoerri, figura di spicco dell’arte del XX secolo e coautore del Manifesto del Nouveau Réalisme, insieme a grandi nomi come Yves Klein, Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle. Spoerri ha sempre valorizzato il dialogo e lo scambio di idee; la sua ricerca artistica è stata guidata dal desiderio di trovare risposte alle sue inquietudini e domande sulla vita. Come un rabdomante scientifico, era in continua ricerca, e questo approccio è centrale per comprendere il dialogo che si è voluto creare con i giovani artisti partecipanti di questa mostra.

Oltre a Spoerri, sono presenti artisti come Iain Andrews, Leda Bourgogne e Nebojša Despotović. Quali sono i criteri con cui sono stati selezionati per partecipare a questo progetto?

Il criterio principale di selezione degli artisti si è basato su una riflessione concettuale per la loro capacità di esplorare il confine tra oggetto e arte, creando opere che stimolino il pubblico a riconsiderare la propria relazione con il quotidiano e soprattutto la propensione a sperimentare con forme, materiali e contenuti che sfidano le convenzioni tradizionali.

La mostra esplora la tensione tra reale e surreale, presenza e assenza. Come pensate che il cibo, in questo contesto, riesca a sfidare le percezioni tradizionali dello spettatore?

Il cibo, in questo contesto, viene rappresentato principalmente nelle opere di Spoerri, ma vuole essere un’esperienza evanescente che può portare a una riflessione più profonda su come esso possa essere un veicolo di idee e sentimenti complessi.

La narrazione visiva di Spoerri è strettamente legata alla trasformazione degli oggetti quotidiani. Quanto è importante, in questa mostra, la relazione tra la memoria degli oggetti e la loro reinterpretazione artistica?

L’oggetto è, di per sé, memoria. L’oggetto vissuto, consunto, contiene quelle tracce che testimoniano il nostro passaggio e il nostro vissuto. In Spoerri, l’oggetto è esattamente questo: testimone invisibile delle nostre azioni, passate, presenti e future. Lo stesso, nel percorso della mostra, si ritrova in Malte Zenses: nelle sue opere possiamo osservare ricordi intimi, legati alla scomparsa, alla perdita, a una malinconia che è condizione esistenziale. Se Spoerri cristallizza, su parete, un momento impreciso, che non è collocato nel tempo e nello spazio, Zenses, ad esempio, insiste sulla necessaria specificità del ricordo, che è, in primis, spazio poetico.

La Galleria Gaburro è conosciuta per la sua attenzione ai progetti curatoriali innovativi. Quali sono le vostre aspettative per questa mostra e quali direzioni pensate di seguire in futuro?

Desidero che questa mostra metta in evidenza la visione di mio padre, Giorgio, il cui intento è sempre stato quello di presentare contenuti di ricerca e, considerando il nostro focus sull'arte contemporanea, di far emergere artisti che meglio interpretano la nostra epoca e che offrono nuove chiavi di lettura del tempo attuale.

La vostra galleria ha collaborato con numerose istituzioni prestigiose. Qual è il valore aggiunto che una mostra come questa porta nel panorama artistico italiano e internazionale?

In questo progetto, a eccezione di Spoerri e Despotović, abbiamo incluso artisti che espongono per la prima volta in una galleria italiana, interagendo per la prima volta con il mercato nazionale. Ritengo quindi che questa sia un'opportunità importante per gli stakeholder del panorama artistico italiano, come collezionisti, critici d’arte, curatori e direttori di musei, per scoprire nuovi talenti dell'arte contemporanea internazionale. Inoltre, a livello internazionale, ci piacerebbe instaurare un dialogo con istituzioni culturali, come musei e fondazioni, per presentare gli artisti e il tema della mostra.

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