Noè 2030. Siamo tutti sulla stessa barca?
Luca Montani, ideatore di Noè 2030, racconta lo spettacolo che usa la danza per sensibilizzare sulla crisi ambientale
Noè 2030. Siamo tutti sulla stessa barca?
Ricordate l’Arca di Noè? Il racconto mitologico nel quale Dio chiese al profeta di costruire una grande arca per salvare tutte le specie da un diluvio imminente? Una lunga epopea che muove da Gilgameš e attraversa culture e le fedi monoteiste.Una sorta di sigillo universale, un patto per il riscatto dalla malvagità, un disegno per preservare la vita all’interno di una struttura straordinaria ma fragile.
La Centrale dell’Acqua, il museo di impresa di MMspa – storica società di ingegneria del Comune di Milano – ha deciso di farne uno spettacolo, attualizzando il tema al contesto odierno, e coinvolgendo importanti realtà culturali milanesi e étoile internazionali come Antonella Albano, Prima Ballerina del Teatro alla Scala di Milano, e Gioacchino Starace Ballerino Solista del Teatro alla Scala di Milano.
La performance Noè 2030 nasce infatti da uno spunto di Luca Montani, Direttore comunicazione e relazioni istituzionali di MM, che il Teatro Out Off, insieme ai ballerini Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta, ha deciso di utilizzare per lanciare un grido d’allarme – attraverso il linguaggio della danza – sulla crisi ambientale in cui versa il Pianeta da tempo.
In continuità con le molteplici iniziative sull’ambiente che hanno coinvolto migliaia di persone nel corso degli ultimi due anni, la Centrale dell’Acqua torna dunque sull’argomento con un appuntamento diverso dal solito.
Lontano da facili isterismi e da posizioni apocalittiche, lo spettacolo Noè 2030 è uno spunto colto e raffinato per moltiplicare i registri che abbiamo a disposizione per sollecitare atteggiamenti e coscienze. Ne parliamo con l’ideatore, Luca Montani.
Luca Montani, perché proprio Noè?
Perché il patriarca descritto nella Genesi, capostipite della nuova umanità, come Adamo e Abramo, affronta un compito simbolico e altrettanto cruciale: portare a salvezza il mondo intero. L’espediente mitico è intarsiato nei diversi frammenti che compongono la versione ufficiale del testo biblico ma, al di là di questioni linguistiche e teologiche, resta un’allegoria unica sull’urgenza di mettere in salvo il Creato.
Ha dell’incredibile, se pensate che l’immagine del Diluvio (così come quella di un Noè capo popolo) compare in culture antichissime molto lontane tra loro: in quella Indù, nella mitologia greca, nell’epoca di Gilgameš della mitologia babilonese, nell’antico Egitto, in Asia, in Cina, in Indonesia, in Oceania, in America.Insomma, il Diluvio ha fatto il giro del mondo in epoche lontanissime.
Secondo te, come mai questa presenza in tutte le culture?
Il mitologema forse potrebbe testimoniare il ricordo di un cataclisma universale avvenuto realmente, divenuto poi storia epica nella quale riconoscersi e giocare un ruolo non soltanto da spettatori.
È una chiave d’accesso a ricordi stratificati nella storia dell’umanità, un’esca utile per fermarsi a riflettere sul rapporto che abbiamo con l’ambiente e con le risorse. Il significato non è mai enigmatico: in tutti gli ambienti culturali segnati dalla presenza del Diluvio, l’uomo è al centro di una sfida importante per la sopravvivenza.
Ma l’uomo è sempre parte attiva in questo destino ricorrente?
Dipende. Nei racconti c’è un dispositivo circolare, simile al concetto della teoria retributiva ma trattato molto diversamente a seconda dell’ambiente culturale e cultuale. Considera questo aspetto: spesso c’è il tema dell’espiazione, talvolta quello della giustizia che rimanda a quello della colpa.
Il Diluvio, nell’esperienza biblica, è anche un’opportunità perché nasce un’alleanza nuova, siglata da quell’arcobaleno che, infatti, compare alla fine, una volta asciugate le terre.Io ogni caso, il ruolo dell’essere umano è centrale e non differibile.
Torniamo alla suggestione per raccontare la crisi ambientale e il cambiamento climatico. Il ricorso al diluvio universale vuole essere apocalittico?
Non è apocalittico. È mitico, che è cosa molto diversa. È unicamente un’allegoria, una figura retorica plastica con passaggi molto ben evidenti che rivelano l’assunzione di una responsabilità. Mi spiego meglio: nel racconto, la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una emergenza, impone un movimento, un’azione importante.
Noè si attiva e costruisce l’arca, tra l’altro con indicazioni tecniche molto precise, quasi didascaliche. Non si limita a osservare quello che accade; coglie la drammaticità del momento, consapevole del suo ruolo, e agisce senza tentennamenti.A rileggerlo, il testo biblico, è ricco di suggestioni.
Noè è un po’ come un ingegnere?
Fa sorridere ma è proprio così. Prende le misure, monta e smonta l’Arca, chiama tutti a salirci sopra. Ma proprio tutti, nessuno escluso, al di là della specie di appartenenza. In questa nebulosa iperreale, il nostro vecchio ingegnere salva tutti nella reciprocità dei generi.
Raccontato così è bello. Ma come avete convinto gli artisti?
Ho raccontato la suggestione a Mino Bertoldo, direttore artistico del Teatro Out Off, e poi ad Andrea Volpintesta e Sabrina Brazzo – entrambi étoile internazionali di danza classica, già ospiti della Centrale dell’Acqua – e ne sono rimasti da subito affascinati. Il passaggio successivo è stato spiegarlo a tutti i giovani danzatori in una lezione aperta in sala prove.
Abbiamo letto, discusso, ragionato insieme e focalizzato la nostra attenzione su alcuni snodi del racconto biblico.
Ce li racconti?
Sono pochi passaggi ma fondamentali: c’è una chiamata eccentrica (di Dio) perché l’uomo non riconosce il rischio incombente, gli manca proprio l’equipaggiamento necessario. Poi c’è il programma d’emergenza, dove Noè capisce ciò che deve fare prima della distruzione. Infine, c’è l’incontro con la forza della natura, il Diluvio, e il ritorno della terra asciutta con l’arcobaleno.
C’è un punto o una riflessione che i giovani danzatori hanno condiviso o ritenuto più importante di altri?
Sì, certamente. Quello che vede la salvezza rivolta a tutti al termine di un mondo che scompare. La civiltà che fallisce e riesce a mettersi in salvo nonostante la propria inadeguatezza e colpa.
È un messaggio universale ingaggiante e inclusivo, che non lascia fuori nessuno.Oltretutto non si rimane indifferenti, Dio incluso.
A patto che?
C’è anche un patto con la ‘p’ maiuscola. E prevede che ciascuno riconosca la propria natura e collabori in prima persona, diventando una sorta di “ingegnere della salvezza”.
E per una società di ingegneria che progetta e gestisce beni comuni, questa suggestione sembra proprio funzionare.
Proprio così. Non vogliamo occuparci di crisi climatica perché è di moda ma perché ogni giorno siamo chiamati a progettare e gestire infrastrutture che mitighino le alte temperature in città, il consumo energetico o di suolo, il drenaggio urbano, eccetera.
L’antiteatro che proponiamo è una comunicazione che chiama all’impegno quotidiano tutti. Non è la cura omeopatica della comunicazione aleatoria ma un’immersione culturale per tutte le generazioni. Le volute magnifiche dei corpi di questi straordinari artisti sono il linguaggio che abbiamo voluto offrire.
Dopo l’Olocene, l’Antropocene, il più simpatico Novacene, ecco il Noècene. Uno spazio-epoca dove considerare irreversibili ogni gesto e parola che non partano dalla previsione del diluvio imminente. E dalla necessità di affrontare il climate change prima che sia troppo tardi.
Noè 2030 – siamo tutti sulla stessa barca?
Spettacolo di danza contemporanea
Ideazione, coreografia e regia di Andrea Volpintesta
Con la partecipazione straordinaria di Antonella Albano, Prima Ballerina delTeatro alla Scala di Milano e Gioacchino Starace Ballerino Solista del Teatro alla Scala di Milano.
I giovanissimi danzatori del Jas Art Ballet Junior Programme
11 e 12 Febbraio ore 19.30
13 Febbraio ore 16.00
TEATRO OUT OFF, via Mac Mahon 16